Cosa farà oggi, 9 maggio 2022, Giorno della Vittoria sul nazismoVladimir Putin? Questo è stato l’interrogativo ricorrente da qualche tempo a questa parte. Se sia quesito utile, oppure rappresenti una manifestazione non troppo felice del consueto escamotage argomentativo di circostanza, sarà il dipanarsi della vicenda a raccontarcelo. Soprattutto laddove si vogliano tenere in considerazione le ultime dichiarazioni di Volodymyr Zelensky il quale, secondo l’interpretazione libera, e per certi versi surreale, dei più, si sarebbe detto disposto a trattare la pace con Mosca offrendo sul “piatto” la propria rinuncia alla rivendicazione della Crimea già annessa alla Russia fin dall’anno 2014.

In buona sostanza, nel corso del suo intervento alla Chatam House di Londra, il presidente ucraino, ponendosi nell’ottica previsionale dei possibili accadimenti che potrebbero affastellare la giornata odierna, si sarebbe detto disposto a rivedere i termini del compromesso con il proprio competitor se le forze moscovite accettassero di ritirarsi “sulle posizioni del 23 febbraio”.

Ebbene: se questi fossero realmente i termini del confronto, davvero non saprei se ridere o se piangere. Anche a voler tutto concedere, e considerata la reazione claudicante della Nato sul punto, è chiaro (né si comprende come sia stato possibile alimentare l’ipotesi di una apertura al confronto dialettico da parte del leader ucraino), che lungi dall’assumere il valore di una ipotesi di compromesso, quelle parole potevano e dovevano “suonare” solo ed unicamente quale ulteriore provocazione. Insomma: niente di nuovo sotto il sole. E, a voler essere sinceri ma mai insensatamente maliziosi, lo “scambio di battute” indirettamente gestito sui “media” tra Volodymyr Zelensky e i vertici Nato nella richiamata circostanza, parrebbe piuttosto restituire un retro-gusto tanto amaro quanto inutilmente indisponente. Sia per il suo sopraggiungere ben oltre settanta giorni di combattimenti estenuanti, ovvero all’interno di un contesto bellico in fase avanzata, sia in considerazione delle dichiarazioni rilasciate dal Segretario Generale Jens Stoltenberg secondo il quale, per farla breve, l’Alleanza Atlantica, avrebbe in previsione “un ulteriore aggravamento” della guerra in Ucraina “nelle prossime settimane”, sia perché, con buona pace dell’attore per mestiere divenuto Presidente (quasi) per scommessa, la annessione della Crimea alla Russia si era già concretizzata di fatto fin dall’anno 2014. L’unica certezza, al momento, sembra essere quella per cui l’inizio della “operazione militare speciale” abbia segnato l’avvio, o meglio la prosecuzione, di una “guerra fredda” mai sopita, seppure inedita nei toni e nei contenuti per essere esclusivamente giustificata, quanto meno così parrebbe, su una componente ideologica non ancora compiutamente definita ma che pare piuttosto articolarsi giorno dopo giorno e di pari passo con l’andamento del conflitto. Nel contesto del quale (del conflitto si intenda), all’evidenza, i Russi di Vladimir Putin appaiono ben lontani, per il momento, dal voler impiegare il loro effettivo potenziale bellico.

Sostenere il contrario solo per riflettere l’immagine di un Grande Paese indebolito dalla “resistenza” ucraina, per essere stata armata, quest’ultima, dall’imbattibile occidente, si tradurrebbe unicamente in una propaganda sterile diretta, per così dire, a “volersela raccontare” in solitudine. In uno scenario quale quello testè rappresentato, la possibilità di addivenire alla “pace” appare quale pura utopia. E credo fermamente che, da parte nostra, ci si sia solamente illusi di poter attribuire alla giornata odierna un significato rilevante per il dipanarsi, l’evolversi, e/o eventualmente il concludersi, del percorso bellico in atto. Vladimir Putin, per quanto mi consta, non è mai stato l’Uomo dei proclami, degli annunci roboanti: è sempre stato piuttosto uno stratega del fare, ed il suo “verbo” si è sempre manifestato attraverso le sue azioni. Né un attimo prima, né un attimo dopo. Il nove maggio di Putin, pertanto, sarà puramente e semplicemente il nove maggio di sempre. Intanto, perché il “Giorno della Vittoria” conquistata attraverso la resa dei nazisti del 1945, da vent’anni a questa parte, è divenuta una ricorrenza fondamentale diretta a qualificare l’identità nazionale russa attraverso la ripetizione costante dell’usanza tutta sovietica di organizzare importanti parate militari nelle città dell’intero paese.

Quindi, perché, in fondo, è stato piuttosto l’Occidente a ricondurre alla data odierna un significato ulteriore in ragione del conflitto in atto che, tuttavia, non parrebbe avere. Infine, perché, lungi dall’annunciare un ulteriore inasprimento del conflitto, con buona verosimiglianza, e nell’ottica di una precisa strategia, Vladimir Putin si limiterà al ricordo dell’impresa gloriosa che portò alla fine della seconda guerra mondiale. Tanto più allorquando si voglia riflettere su una circostanza tutt’altro che secondaria: ad oggi, il Presidente russo, malgrado le pesanti provocazioni, verbali e non, dei più grandi leader occidentali, non ha mai manifestato segnali di cedimento conservando la consueta freddezza, e portando avanti la propria operazione sulla linea ideale tracciata e di volta in volta rivisitata in considerazione dell’andamento della operazione militare speciale.

Le evoluzioni future saranno dunque frutto di attenta meditazione i cui contenuti andranno a delinearsi su ragioni di convenienza strumentale all’esercizio di un controllo effettivo delle aree da conquistarsi. In altri termini: se Vladimir Putin, e può farlo, dovesse determinarsi nel senso di tentare l’annessione dell’intero territorio ucraino, allora i suoi militari, e per ancora lunghi anni, si ritroveranno a dover affrontare estenuanti, piccole e costose guerriglie quotidiane con la popolazione autoctona rischiando, alla lunga, di provocare un malcontento crescente all’intero del proprio Paese; se, invece, dovesse accontentarsi di esercitare il proprio controllo solamente su una parte del territorio, ossia nel Donbass e sul corridoio meridionale che unisce quest’ultimo alla Crimea, tentando nel contempo di imporre un governo filo russo a Kiev, allora, probabilmente, dovrebbe affrontare i costi di una resistenza direttamente orientata contro le nuove, illegittime autorità siccome inevitabilmente considerate tali. Sicchè, il problema vero, lungi dal porsi nei termini degli squilibri delle forze in campo, e della ideale fatica militare moscovita, sembrerebbe concentrarsi piuttosto sulla opportunità dell’obiettivo da perseguire, non ancora definito nei termini essenziali. Solo nel momento in cui Mosca avrà focalizzato per bene i termini del proprio intervento militare, solo allora, e non prima, Vladimir Putin si determinerà ad agire con puntuale determinazione. Mai e poi mai, salvo sorprese, potrebbe accogliere la pseudo offerta di pace del presidente ucraino. Sarà importante, al di là di inutili proclami, e prima che sia troppo tardi per tutti, cercare di captare le intenzioni di Mosca al fine di instaurare reali trattative di pace.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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