Quelle appena concluse sono state le quinte elezioni politiche dall’aprile del 2019; in 3 anni gli elettori israeliani sono stati chiamati 5 volte alle urne, ogni volta il risultato è apparso poco chiaro e la difficoltà di trovare una stabile compagine governativa è stata tale che si è dovuti tornare nuovamente a votare.

L’ultimo governo era composto da una coalizione che definire varia è limitante: destra, centro, sinistra, religiosi, nazionalisti e anche un partito arabo-islamico.

È caduto dopo una serie di uscite e rientri dalla maggioranza per le più varie ragioni (o pretesti): prima Idit Silman, una parlamentare della destra religiosa, era passata alla opposizione perché contestava l’applicazione di una sentenza della Corte Suprema del 2020 che permetteva ai visitatori negli ospedali di portare del cibo lievitato durante il periodo pasquale (mentre ai religiosi è vietato ogni tipo di lievito durante la Pasqua); poi Ghaida Rinawie Zoabi, deputata arabo-israeliana del partito di sinistra Meretz, era uscita dalla maggioranza criticando le politiche messe in atto nei confronti degli arabo-israeliani e i palestinesi; infine anche Nir Orbach, sempre del partito religioso di destra Yamina, opponendosi a quelle che a suo dire erano le eccessive pretese della sinistra, aveva abbandonato la maggioranza.

Dunque, dopo appena 19 mesi si è tornati a votare.

Giovedì sera sono stati annunciati i risultati finali delle elezioni: ha chiaramente vinto la coalizione di destra con primo partito il Likud di Benjamin “Bibi” Netanyahu che ancora una volta sarà nominato capo del governo israeliano.

Prima di analizzare queste elezioni è essenziale, per orientarsi ancora una volta nella complicata rappresentanza israeliana, dare la ripartizione dei seggi e chiarire le posizioni dei vari partiti: Likud 32 seggi (storico partito della destra israeliana); Yesh Atid 24 (moderati, liberali e secolari, leader Yair Lapid); Religious Zionist 14 (sionismo religioso di estrema destra, leaders Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir), National Unity 12 (centro, leader Benny Gantz), Shas 11 (ultraortodossi di tradizione sefardita), UTJ 7 (United Torah Judaism, un’unione di partiti ultraortodossi di tradizione askenazita), Yisrael Beytenu 6 (nazionalista di destra e anticlericale, leader Avigdor Lieberman), Ra'am 5 (partito arabo islamico), Hadash-Ta’al 5 (lista unitaria di formazioni di sinistra con Ta’al, partito secolare arabo-israeliano guidato da Ahmad Tibi), Labour 4 (storico partito laburista dei fondatori di Israele). Sono rimasti fuori dalla Knesset, il parlamento israeliano, il Meretz (altro partito laico di sinistra che ha ottenuto il 3,16 dei voti), Balad (partito arabo non islamico col 2,90) e La Casa Ebraica (partito di estrema destra con lo 1,19); la soglia di sbarramento fissata al 3,25% dei voti validi non ha permesso a queste formazioni di eleggere nessuno.

Appare dunque evidente che Netanyahu potrebbe costruire una coalizione di destra composta da Likud, Religious Zionist, Shas e UTJ che gli permetterebbe di avere 63 seggi sui 120 totali.

È dal 2001 che Israele è governato dalla destra o da centristi, l’ultimo primo ministro laburista fu Ehud Barak; ma quello che rischia di verificarsi ora sarebbe il governo più a destra della storia di Israele. E con una componente, quella dei sionisti religiosi, di destra estrema, omofoba e con tendenze razziste.

Secondo Amos Harel, editorialista di Haaretz, uno dei primi obiettivi di questo governo sarà lavorare affinché Netanyahu non vada a finire in prigione. Dunque operare su leggi e anche sulle procedure delle nomine dei giudici. In generale, una coalizione di questo tipo, secondo il centrista ed ex militare Benny Gantz, rischia di avere una fortissima tenuta per i tanti interessi in comune ma anche come reazione verso chi è oggi all’opposizione e ha di fatto perso la propria “guerra” contro Netanyahu.

Proprio questa sorta di ossessione, compreso il processo per corruzione, frode e abuso di fiducia che Bibi sta subendo, sembra, secondo Herb Keinon, editorialista del Jerusalem Post, che invece abbia sortito l’effetto inverso negli elettori. Il processo è stato portato avanti “in maniera goffa e incerta dai giudici” e alla fine non sembra aver portato voti agli avversari di Bibi. Anzi, è successo il contrario e benché per poco (il blocco di destra in totale ha meno di 15.000 voti in più dei suoi competitori) alla fine sarà di nuovo Netanyahu a creare il prossimo governo in Israele.

Alla vittoria della destra ha poi senza dubbio contribuito anche la nuova serie di attentati che si sono succeduti a partire da maggio 2021: i terroristi arabi confermano di essere i migliori amici della destra. E naturalmente votano destra anche negli insediamenti oltre la storica “linea verde” che ormai sono numericamente enormi.

Israele, secondo il demografo Sergio Della Pergola intervistato dal settimanale Moked“[…] si inserisce in un movimento transnazionale di cui fanno parte l’Italia, la Francia, l’Inghilterra, la Svezia, gli Stati Uniti così come il Brasile, pur con il suo sorprendete risultato in senso contrario. Questo movimento convoglia al suo interno e fa risorgere nazionalismo, populismo, sciovinismo e revanscismo”.

Israele, la sua storia politica e sociale non è di semplice comprensione: la sua è una società complessa e spesso contraddittoria e imperfetta. Ma ora potrebbe esservi un governo che rischia di essere difficilmente gestibile perfino per Netanyahu perché con troppi estremisti intenzionati a cambiare le regole della democrazia israeliana (ad esempio limitando i poteri di garanzia della Corte Suprema).

Le prossime settimane renderanno più chiara la situazione.

Filippo Petrucci – Cagliari

© Riproduzione riservata