Il successo di Donald Trump e il confronto democratico internazionale
Una vittoria che fa da spartiacque fra il prima e il dopo, e che impone un’attenta riflessione nel vecchio continentePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ma perché Donald Trump pare attrarre l’elettorato di taluna parte della destra italiana? Forse perché conservatore e in qualche maniera populista? Chissà. Forse, in parte. Dicendolo diversamente, mutatis mutandis, se ai tempi del governo giallo verde Matteo Salvini si affidava all’espressione “prima gli italiani”, oggi, Donald Trump, semplificando al massimo i termini del suo discorso di insediamento, ribadisce il concetto della priorità degli interessi dell’America e degli americani. Nulla quaestio chiaramente. Ma sarebbe con buona verosimiglianza un errore il pensare di poter trasfondere le politiche di Donald Trump nel contesto geopolitico e sociale italiano, assai differente anche solo per il fatto di essere parte integrante della compagine europea di cui è pure Paese fondatore chiamato a curarne gli interessi insieme ed in armonia con gli altri Paesi Membri. E sebbene il bipartitismo americano, pur nelle sue varie articolazioni interne, sembrerebbe ispirare una classificazione nei termini di destra e di sinistra, tuttavia, siffatta distinzione, potrebbe risultare opportuna laddove, probabilmente, ci si limitasse a non voler considerare le componenti soggettive che caratterizzano tanto il Partito Repubblicano quanto il Partito Democratico di oltre oceano. E probabilmente, potrebbe non essere fuorviante, ritenere che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, e quindi nella posizione di vertice, possa ritenersi conseguenza non tanto, sic et simpliciter, dell’essersi fatto espressione soggettiva del Partito Repubblicano ritenuto, per così dire, e semplificando, di destra, quanto, piuttosto, per essere egli espressione e riflesso di una ideologia per così dire di mezzo qualificante quella parte rilevante di popolazione poco incline probabilmente a volersi identificare nell’uno o nell’altro partito americano tout court, e disponibile, invece, ad affidarsi a chi si fosse fatto interprete e si facesse interprete di un programma dai toni imperativi e di immediata percezione pratica nella sua semplicità per porsi in contrapposizione con l’elitarismo tanto di destra quanto di sinistra.
Mutatis mutandis, la vittoria di Donald Trump, per il suo effetto clamoroso nell’immediato, potrebbe (il condizionale appare opportuno) in qualche misura ricordare la vittoria del Movimento 5 Stelle ai tempi del governo giallo verde. Una vittoria che pare segnare uno spartiacque tra il prima, e il dopo. “Panta rei”, ossia “tutto scorre”, diceva (o perlomeno a lui è attribuita) il noto filosofo greco Eraclito. L’effimera durata di ogni cosa potrebbe costituire la chiave di lettura dei giorni correnti. La politica dei nostri giorni si presenta in continua trasformazione e i partiti tradizionali paiono quasi in difficoltà nell’interpretarne il divenire.
Donald Trump, con buona verosimiglianza, con la sua attitudine alla semplificazione ed all’immediatezza, ad oggi, parrebbe essere riuscito ad offrire una interpretazione tanto soggettiva quanto autoriferita del nuovo (anche se non troppo considerata la precedente esperienza alla Casa Bianca) che avanza. E se l’effetto impattante del suo esordio parrebbe non potersi negare, sarà senz’altro importante osservarne la tenuta, se vi sarà, nel corso del tempo.
“Make America Great Again” dice Donald Trump. Espressione che dovrebbe imporre una attenta riflessione sul futuro dell’intero Continente Europeo il quale, da parte sua, dovrebbe riorganizzarsi per farsi espressione unitaria e condivisa dell’interesse comune finalizzandolo ad affrontare le sfide economiche e sociali della realtà contingente. Non parrebbe esservi spazio per automatismi, ma solo per decisioni condivise. La democrazia di cui l’Unione Europea nel suo complesso potrebbe farsi fulgida e rinnovata espressione, potrebbe imporsi quale valido contro altare al “Make America Great Again” di Donald Trump, siccome il carattere comune dell’impianto decisionale sembrerebbe poter riuscire ad assicurare la contemporanea e condivisa partecipazione di tutti gli interessati e quindi la unitarietà dell’intento. È sempre l’Unione a fare la forza.
Giuseppina Di Salvatore – avvocato, Nuoro