Una pace negoziata con riferimento al conflitto russo-ucraino è ancora possibile? Quali potrebbero esserne le condizioni? Chi, per le sue qualità soggettive, per la sua equidistanza e neutralità tra le parti in conflitto (se siffatte caratteristiche volessero considerarsi rilevanti), potrebbe fungere da mediatore nelle trattative? Fermo restando, primariamente, che a volere un tavolo di pace dovrebbero essere innanzitutto i protagonisti del conflitto stesso e, forse, al netto delle rispettive ragioni e dei rispettivi torti (ove questo sia mai possibile).

Nei giorni scorsi, ossia praticamente all’indomani dell’election day che ha visto prevalere, nella competizione elettorale, Donald Trump, Joe Biden si sarebbe determinato nel senso di autorizzare l’Ucraina ad impiegare missili cosiddetti “a lungo raggio” per colpire le forze russe e nordcoreane nella regione russa di Kursk. Non sarà forse superfluo ricordare che, nel corso della lunga campagna elettorale, il presidente eletto Donald Trump, si sarebbe (il condizionale appare doveroso) premurato di sostenere che avrebbe potuto forse spingere l'Ucraina alla cessione di talune terre conquistate alla Russia per cercare di favorire la conclusione del conflitto. Diversamente dicendolo: nell’allora sua qualità di candidato, sembrerebbe essersi espresso per lungo tempo sottolineando la propria volontà di porre fine alla guerra, ma, tuttavia, non sembrerebbe aver mai esplicitato il come, e/o comunque, che dovrebbe (ancora una volta sembrerebbe imporsi il condizionale) essere l’Ucraina a prevalere. Tanto più allorquando si rifletta sulla circostanza delle critiche rivolte all'amministrazione Biden per aver fornito all'Ucraina miliardi di dollari in aiuti. Fin qui lo stato dell’arte. Tuttavia, non sarebbe utile non considerare talune riflessioni di carattere generale: intanto, quella per cui la legittimità dell’autodifesa armata in forza del disposto dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, non parrebbe esimere chicchessia, e quindi neppure i governi interessati dal conflitto, come pure gli Stati che ne sostengono le ragioni, dall’obbligo di ispirare il proprio agire al buon senso, riferendosi, in particolare, all’esigenza di non assecondare, per così dire, la tentazione di inasprire il conflitto; quindi, quella per cui sarebbe necessario porre in essere ogni tentativo utile sul piano politico finalizzandolo al raggiungimento di una pace che possa considerarsi davvero duratura. Dicendolo diversamente, e per meglio intendersi, anche nel contesto del conflitto armato, la ricerca ed il rinvenimento di una soluzione diplomatica non dovrebbe mai venire meno.

Non sarà al proposito superfluo riportare alla memoria che con una specifica Risoluzione, le stesse Nazioni Unite, nel corso dell’anno 2023, avevano invitato gli Stati Membri e le Organizzazioni Internazionali ad implementare gli “sforzi diplomatici per raggiungere una pace globale, giusta e duratura in Ucraina”. L’esortazione, o meglio le ragioni della stessa, non sembrerebbero difficili da apprezzare, se solo si volesse condurre il ragionamento da una considerazione di base: ossia quella per cui, quanto più si protrarrà il conflitto, tanto maggiori saranno le perdite e tanto più complesso sarà perseguire una pace negoziata utile a salvaguardare la sicurezza collettiva.

In questo senso, forse, l’autorizzazione rilasciata a Kiev dalla Casa Bianca dell’uscente Joe Biden, potrebbe allontanare l’obiettivo del perseguimento di un percorso di pace e la mitigazione degli animi dei protagonisti del conflitto. E questo al netto di ogni strategia eventuale e potenziale.

La guerra è pur sempre una sconfitta per tutti, e, nel voler dar seguito all’esortazione delle Nazioni Unite, poco sopra ricordata, appare oltremodo necessario evitare ogni atteggiamento che possa favorire una escalation di qualsivoglia consistenza. Il “cessate il fuoco” risponderebbe, come pare rispondere, al migliore interesse comune, tanto delle parti in conflitto quanto dei loro sostenitori.

L’Unione Europea, il cui ruolo geopolitico, sul piano internazionale, negli anni, sembrerebbe essersi ridotto, dovrebbe incrementare i propri sforzi diplomatici finalizzandoli al perseguimento di una condizione stabile di pace. Quali potrebbero essere le figure politiche di riferimento nel contesto dell’Unione Europea idonee a spendere la propria forza diplomatica per favorire un percorso di pace attraverso l’intervento degli Stati Uniti guidati da Donald Trump?

Occorrerebbe individuare il “chi”, il “quo modo”, e il “quando” al di là ed oltre, probabilmente, dall’esigenza delle parti in conflitto di cercare di ottenere un qualsivoglia vantaggio sul piano territoriale finalizzato a rafforzare la propria potenziale posizione negoziale quando la stessa sarà matura per essere discussa.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

© Riproduzione riservata