Si vota in Catalogna. Elezioni cruciali che arrivano a due mesi e mezzo dalla crisi scatenata dal referendum dello scorso 1 ottobre, in cui i catalani si sono espressi per l'indipendenza aprendo una crisi senza precedenti.

Il voto anticipato è stato indetto dal premier spagnolo Mariano Rajoy, e dal suo esito dipende il futuro della regione e dell'intera Spagna.

Dopo il voto e la repressione della Guardia Civil, la destituzione del governo indetta da Rajoy e la fuga di Puigdemont in Belgio, si è aperta una fase transitoria in attesa proprio di queste elezioni.

Se dovessero vincere gli unionisti tutto tornerebbe alla normalità. Se, al contrario, dovessero prevalere i separatisti, guidati proprio da Puigdemont che sta facendo campagna elettorale dall'estero, sarebbe quasi scontata la riapertura della crisi con Madrid.

Sono 5,5 milioni i catalani chiamati alle urne per eleggere i 135 deputati del Parlamento. Ci sono 11 liste in lizza.

I sondaggi danno un esito incerto e un Parlamentino spaccato in due, con il blocco secessionista e quello unionista quasi alla pari, tra il 44 e il 45%. L'unica certezza dovrebbe essere l'affluenza, altissima, oltre l'80%.

SECESSIONISTI - Sono Esquerra Republicana di Oriol Junqueras, attualmente in carcere, e Junts per il Sì, di Carles Puigdemont, che potrebbero unirsi con gli indipendentisti antisistema di Cup. Nelle loro fila ci sono 13 persone accusate di ribellione e sedizione dalla Procura madrilena, alcuni di loro - come Junqueras - sono tuttora in carcere. Altri, come Puigdemont, in autoesilio. Quello di Junqueras secondo i sondaggi dovrebbe essere il primo partito.

UNIONISTI - Si tratta di un'alleanza dei due partiti tradizionali, i Socialisti del Psoe e i Popolari, con i liberali di Ciudadanos, che fanno capo alla pasionaria anti secessione Ines Arrimada. Anche loro, come i secessionisti, dovrebbero rimanere di poco al di sotto della soglia necessaria per formare una maggioranza di governo. Previsto un ottimo risultato per Ciudadanos, per i sondaggi secondo partito, e un crollo dei Popolari di Mariano Rajoy, dovuto alla violenta repressione nel giorno del referendum.

LA SINISTRA - Poi ci sono le tre formazioni di sinistra: i secessionisti dell'Erc, l'altro partito socialista e l'alleanza tra Podemos e il movimento En Comu, del sindaco di Barcellona Ada Colau, che al referendum ha votato sì ma poi si è dissociata dalla dichiarazione unilaterale d'indipendenza di Puigdemont. Non avranno i numeri per governare, e sull'indipendenza catalana hanno idee contrastanti.

GLI ANTISISTEMA - L'alleanza Podem-en Comu, potrebbe essere l'ago della bilancia. Si è tenuta equidistante dai due poli, ma è certamente più lontana dal blocco indipendentista: il leader di Podemos Pablo Iglesias, infatti, "non contempla uno scenario con forze politiche di destra come quella di Puigdemont".

In caso di mancato accordo tra le forze politiche potrebbero essere indette nuove elezioni nel giugno 2018. Decisione che spetterebbe al presidente della Generalitat, tocca a lui secondo la legge sciogliere il Parlamento. Ma Puigdemont è stato destituito.

(Unioneonline/L)
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