Le carte sono blindate in un grattacielo di 361 piedi, 110 metri di giustizia, nel cuore di Miami, profonda Florida, a un tiro di schioppo dalle Bahamas, sul fronte opposto delle coste dell’Avana. Qui, nello Stato americano più lontano da Washington e più vicino a Cuba, si gioca una delle partite chiave di uno degli intrighi finanziari e politici più controversi della storia della marineria italiana e non solo.

Il plico sottovuoto

Il 14 gennaio scorso, un plico sottovuoto, ha scalato i piani alti della Corte di Giustizia degli Stati Uniti d’America, distretto sud della Florida. A trasmetterlo è Juan Pablo Morillo, avvocato di casa nel palazzo di Giustizia che si erge nella avenue più lunga di Miami. Il suo mandato, con tanto di delega italiana, è firmato in calce da uno dei rampolli di casa Moby. La sigla è quella di Achille Onorato, uno dei due figli di Vincenzo, il patron di Mascalzone Latino, proprietario della Moby e della Compagnia Italiana di Navigazione, la Cin. Di questo dossier tutto Sardegna, trasporti e affari, sbarcato sulla costa di Miami Beach, nessuno sa niente. Segreti giudiziari, da tenere sottotraccia per non allertare i mercati. In realtà l’obiettivo è fin troppo chiaro: narcotizzare i proprietari americani delle quote del bond da 300 milioni di euro, emesso nella Borsa di Lussemburgo. Un mare di denaro, tutto da restituire, che ha consentito a Onorato di acquistare, ma non pagare, la vecchia Tirrenia dallo Stato italiano, insieme alle rotte da e per la Sardegna.

Ultima spiaggia

La sintesi dell’operazione messa in campo all’ombra dei palmizi di Miami si chiama “ultima spiaggia”. L’obiettivo è chiaro: impedire che i bondholders americani possano incidere pesantemente sull’operazione salvataggio delle due compagnie, visto che il procuratore di Milano, dopo aver chiesto il fallimento di Cin, avantieri ha chiesto anche quello della Moby. Due gli ostacoli che si frappongono al tentativo di evitare lo showdown finale: gli “azionisti” americani del bond e i commissari della Tirrenia in amministrazione straordinaria. La prima partita, dunque, si gioca nel cuore della Florida, a Miami, eletta a Corte di giustizia titolare della procedura “Chapter 15”, il capitolo 15, del Codice fallimentare degli Stati Uniti. Onorato ha deciso di arrampicarsi ad ogni spiraglio per evitare il peggio, ovvero il fallimento delle sue compagnie di navigazione. Lo schieramento a Miami è da guerra senza frontiere. Gli avvocati in campo sono una caterva. Le prime carte del dossier che parla americano sono tutte dedicate alla costituzione del pool difensivo di Onorato: da Patricia Tomasco del Texas a Nicoletta Malagioglio della California, da Alain Jaquet del distretto di New York a Joanna Diana Cayatas sempre della Corte della Grande Mela. Sono loro che dovranno sostenere a Miami la correttezza della procedura fallimentare italiana e chiedere agli Stati Uniti di impedire qualsiasi interferenza americana nello svolgimento delle fasi prefallimentari che riguardano sia Cin che Moby. Con il “Capitolo 15” della Giustizia fallimentare degli States, infatti, è consentito, previa autorizzazione, l’accesso ai tribunali degli Stati Uniti, per “casi transfrontalieri”. Una norma invocata dai legali di Onorato per tentare di arginare l’irruenza americana nella procedura fallimentare avviata dal Tribunale di Milano.

Diavoli e avvoltoi

Il patron di Mascalzone Latino teme come il diavolo i titolari americani di una valanga di bond lussemburghesi. Sa perfettamente che non attendono altro per bocciare senza appello quel piano che rilancia alle calende greche la restituzione di quei soldi. Fondi speculativi sia ben chiaro, il più delle volte descritti con l’appellativo più duro di “avvoltoi”, ma pur sempre titolari di un diritto. Nelle carte “secretate” nei caveau americani, e di cui siamo in possesso, ci sono le ragioni, secondo Onorato, perché la giustizia degli Stati Uniti blocchi ogni assalto alla procedura fallimentare italiana. I legali, avvezzi al diritto fallimentare Usa, hanno consigliato ad Onorato di chiedere al Tribunale di Miami l’adozione di un atto che disponga la sospensione di qualsiasi azione pendente, bloccando di fatto l’operatività dei bondholder statunitensi. I documenti secretati nel palazzo sono un pullulare di richieste esplicite.

Il dossier segreto

Il primo documento nelle nostre mani, vergato dai legali, è chiaro: «Il rappresentante straniero (Onorato n.d.r.) avvia questo procedimento del capitolo 15 per due ragioni principali. La prima è quella di ottenere da questa Corte il riconoscimento della «Procedura di Insolvenza» italiana come procedura principale straniera». La seconda è quella più diretta, tutta rivolta a coloro che hanno chiesto dagli Stati Uniti il fallimento di Onorato. Scrivono i legali di Moby: «Al fine di consentire una rapida ed efficace ristrutturazione commerciale nella Procedura di insolvenza italiana, compresa l'esecuzione di tutti i diritti e gli obblighi ai sensi del contratto e altri accordi, Moby chiede ora le protezioni previste dal Capitolo 15». Il cuore dell’istanza è tutto nel capitolo dei creditori americani, quelli da bloccare ad ogni costo per evitare che determinino il fallimento della Cin e della Moby. L’appello dei legali ingaggiati da Onorato negli States si fa stringente: «Nonostante i progressi delle discussioni con i creditori, alcuni hanno continuato a minacciare la continuità aziendale del Gruppo Moby. Così, il 30 giugno 2020, Moby e la sua principale controllata Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A. hanno presentato due distinte domande di ristrutturazione giudiziaria. Di conseguenza, a partire dal 1 luglio 2020, qualsiasi atto di Moby e CIN, a partire dai creditori e continuare con le procedure esecutive e pignoramenti sui beni di Moby e CIN sono stati automaticamente "sospesi". Tale "sospensione" rimarrà in vigore fino a quando su Moby e CIN saranno pendenti le rispettive procedure di insolvenza».

Fermate gli americani

Onorato ora chiede che sia la giustizia americana ad estendere questa “sospensione” anche ai suoi nemici americani. Se la Corte di Miami, è scritto nei documenti, non concederà questa estensione della sospensione italiana anche sul territorio americano c’è «la probabilità di un danno irreparabile». Il filo rosso tra Miami e i palazzi romani, però, è ancora sottotraccia. Dalle coste di Miami al Palazzo del ventennio, però, il passo è breve. Nel cuore di quella che fu la “Bella vita” di Roma, alle pendici di Via Veneto, sede del Ministero dello Sviluppo economico, si gioca l’altra mossa chiave dell’affaire Tirrenia-Moby. Se in Florida è Onorato a rivolgersi ai Giudici, in Italia sono le Procure ad indagare sul patron di Mascalzone Latino e i suoi rapporti con la politica. I soldi transitati dai conti della compagnia di navigazione, prima alla fondazione di Renzi e, poi, al blog di Grillo e alla società di Casaleggio, hanno acceso i riflettori proprio sull’operato di quel palazzo romano che si occupa della Tirrenia in amministrazione straordinaria.

Sotto osservazione

Due sono i punti cruciali delle “attenzioni” che gli inquirenti potrebbero rivolgere all’operato del governo Conte 2. Sotto osservazione ci sono alcuni passaggi compiuti dagli allora Ministri dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, cinque stelle e delle Infrastrutture Paola De Micheli, del Pd. La lente dei magistrati è rivolta, soprattutto, ai messaggi che Patuanelli avrebbe ricevuto da Grillo per “salvare” Onorato nella fase cruciale del sequestro dei conti bancari da parte del Tribunale di Roma. E’ lì che si registra uno dei passaggi più controversi dell’intera vicenda. E’ il 4 marzo del 2020 quando i giudici romani ordinano il sequestro di 55 milioni di euro dai conti della Cin, la fu Tirrenia, acquistata ma non pagata da Onorato. Con il sequestro dei conti bancari richiesto dai commissari straordinari di Tirrenia Onorato minaccia il blocco delle navi e del servizio pubblico da e per la Sardegna. E’ a quel punto che intervengono i due ministri per chiedere ai commissari di spostare il sequestro dai conti bancari alle navi. Onorato, con quella decisione, potrà continuare a gestire la cassa in cambio di un sequestro conservativo, inutile, delle navi, visto che le continuerà ad utilizzare.

Allo Stato niente

Lo Stato, invece, si dovrà accontentare di niente, visto che quelle navi sono già tutte abbondantemente gravate da ipoteche di vari gradi. Un regalo vero e proprio, con una giustificazione del governo davvero poco credibile come quella del rischio di interruzione di un servizio pubblico. In quelle stesse ore, infatti, un altro armatore comunicava formalmente al Ministero dei trasporti la propria disponibilità immediata a svolgere quel servizio in sostituzione della compagnia sottoposta a sequestro. I due ministri, però, ignorano l’offerta e danno l’ordine: spostate il sequestro sulle navi, lasciatele in esercizio a favore dello stesso armatore e si svincolino i soldi nei conti in banca. Tutti elementi, obbligatoriamente, al vaglio dei magistrati di Milano.

Promesse fantasiose

Ora il bandolo della matassa ritorna, però, nelle mani del palazzo di Via Veneto. Da decidere, in poco tempo, c’è l’accettazione o meno del piano concordatario presentato da Onorato per salvare le compagnie. Il Ministero dello Sviluppo è chiamato a decidere se accettare o meno una riduzione dei 180 milioni di euro e soprattutto se attendere sino al 2025 per avere qualche speranza di recuperarli. Il dicastero di Via Veneto deve, quindi, decidere se concedere un’ulteriore proroga a Onorato che, dall’acquisto di Tirrenia, dal 2012 ad oggi, non ha ancora versato un solo euro di quei 180 milioni di euro che deve ancora allo Stato.

Regali finiti e concorrenza

Sarebbe un atto di “fiducia” pesante, viste le inchieste aperte a Milano e Firenze. E, soprattutto, perchè quel piano concordatario si fonda su due “limiti” decisivi: la mancanza di quei 72 milioni di euro all’anno della continuità territoriale da e per la Sardegna e due concorrenti, Grimaldi e Aponte, per niente disposti a fare concessioni a Onorato. Il futuro delle due compagnie, da sempre monopoliste nel mare di Sardegna, passa, dunque, dalla “Bella Vita” di Roma a quella di Miami. E non sarà una vacanza.

Mauro Pili

© Riproduzione riservata