Un mistero lungo quasi quarant’anni. Precisamente: 38. Tanti ne sono passati dal 22 giugno 1983, quando Emanuela Orlandi, allora adolescente, uscì di casa per andare a lezione di musica, a Roma, senza farvi più ritorno. 

Da allora, vane le numerose indagini condotte nel corso degli anni per fare luce sulla sorte della 15enne, figlia di un dipendente della Santa Sede. E senza esito sono rimaste le disparate piste via via seguite dagli investigatori, italiani e vaticani, dal rapimento di terroristi legati all’attentato a papa Wojtyla ai giri oscuri - e inquietanti - all’ombra di San Pietro, magari con il coinvolgimento di gruppi criminali – come la famigerata Banda della Magliana – e addirittura dei servizi segreti. 

Un giallo che contiene, come una matrioska, tanti altri piccoli gialli. O, meglio, un filo che più passa il tempo più si ingarbuglia, fino a diventare inestricabile.

Cosa è accaduto davvero non si è mai saputo. Ma da quel giorno di inizio estate del 1983 qualcuno continua a cercare imperterrito la verità: Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, convinto che un giorno tutti i pezzi del misterioso puzzle riusciranno finalmente a incastrarsi, una volta per tutte.

Sono passati 38 anni dal giorno della scomparsa di Emanuela. Come si sente?

“Un altro anno senza verità e senza giustizia. Ogni anno spero sempre che sia l’ultimo. Invece, purtroppo, ogni anno mi ritrovo a pensare: la battaglia continua. Ma non demordo”.

Facciamo il punto. Qualcosa si muove nelle indagini? Oppure è tutto fermo?

“L’ultima inchiesta ufficiale è quella del 2015, iniziata dopo la scoperta della tomba di De Pedis (uno dei boss della Banda della Magliana, ndr) nella chiesa di Sant’Apollinare, condotta dal pm di Roma Giancarlo Capalbo. Inchiesta che poi, però, venne archiviata”.

Come mai?

“E’ una delle risposte che io e i miei legali non abbiamo mai avuto. Durante quell’indagine emerse l’esistenza di un fascicolo riservato del Vaticano su Emanuela. Sembra che qualcuno fosse pronto a metterlo a disposizione della magistratura. Ma poi il caso venne improvvisamente tolto a Capalbo. Se ne prese carico direttamente l’ex procuratore Pignatone. E non si arrivò mai a nulla”.

Più di recente sono stati scoperti alcuni resti, che hanno aperto nuove ipotesi, anch’esse senza esito…

“Anche in questo caso ci siamo scontrati contro un muro. Abbiamo provato a chiedere alla Santa Sede di vedere i documenti sul cimitero teutonico dove sono state rinvenute le ossa e di avere le carte sui lavori effettuati e via dicendo. Non ci hanno mai nemmeno risposto”.

Dal 1983 si sono succeduti tre papi. Sotto quale pontificato avete trovato maggiore disponibilità?

“In teoria, e sottolineo in teoria, all’inizio, quando c’era Giovanni Paolo II. Venne anche a casa nostra e ci confidò che Emanuela era al centro di un caso di terrorismo internazionale. ‘Sto facendo quanto umanamente possibile per trovare una soluzione’, aggiunse. Invece da quel momento sulla vicenda calò il buio. Eppure Wojtyla sembrava disposto a cercare la verità…”.

E il motivo, secondo lei, di questo cambio repentino?

“E’ uno dei tanti misteri nel mistero. In quel momento c’era molta pressione. Wojtyla era appena stato vittima dell’attentato e infatti si ipotizzò un rapimento di Emanuela per uno scambio con Alì Agca. Tutto era in continua evoluzione. Non credo però che Giovanni Paolo II sia stato una sorta di ‘primo depistatore’. Penso invece che in quel momento ciò che sapeva e che ci ha riferito portava davvero a ipotizzare che nella scomparsa c’entrasse il terrorismo”.

Altre ipotesi emerse in seguito parlano invece di giri oscuri, con al centro giovanissime ragazze. Come si concilia questa pista con i terroristi e l’attentato?

“Ripeto, sono talmente tanti i depistaggi in questa storia che fatico a sposare in toto questa o quella ipotesi. Non posso dire con certezza in cosa sia stata coinvolta Emanuela. Ogni pista ha trovato i suoi riscontri. Ma non si è mai voluti andare fino in fondo. Quello che so è che in Vaticano ci sono prove, carte e documenti che potrebbero aiutare a fare finalmente luce sulla sua scomparsa. Persino messaggi Whatsapp di conversazioni che meriterebbero l’attenzione degli inquirenti. Qualcuno, però, dopo 38 anni, ancora non vuole che trapelino”.

Perché?

“Penso per un ricatto. Per non far uscire informazioni che potrebbero danneggiare l’immagine di alcuni personaggi importanti legati alla Santa Sede”.

Torniamo ai papi. Ratzinger?

“A Ratzinger provammo a chiedere, attraverso i suoi collaboratori, almeno una preghiera per Emanuela durante l’Angelus, in occasione del 25esimo anno della scomparsa. Niente”.

E Bergoglio?

“In Bergoglio riponevo speranze. All’inizio del suo pontificato andai con mia madre in Santa Marta, dove celebrava messa. All’uscita lo avvicinai e mi disse: ‘Emanuela sta in cielo’. Rimasi stranito. Perché mai una frase come quella? Ma la presi come una cosa positiva. Pensavo fosse un modo per dirmi: ‘Le cose cambieranno’. Invece le cose non sono cambiate”.

Lei segue sempre ‘da vicino’ le cose del Vaticano. Che idea si è fatto del caso Becciu?

“Ha confermato l’idea che ho da sempre, ovvero che la Chiesa, nonostante i proclami, non sia ancora in grado di fare le cose sulla strada della trasparenza che spesso annuncia di aver iniziato a percorrere”.

Come ha intenzione di proseguire la sua battaglia?

"Domani, 22 giugno, alle 18, sarò, come ogni anno in piazza, a Roma, in largo Giovanni XXIII, per un sit-in in cui tornerò a raccontare a chi vorrà esserci questi anni di vana ricerca della verità. Spero ci sia grande partecipazione. Il sostegno e la solidarietà delle persone mi danno la forza di andare avanti nella mia lotta. E poi farò quello che continuo a fare senza sosta”.

Ovvero?

“Ovvero presentare richieste e istanze per accedere agli atti, sia alla magistratura italiana che a quella vaticana. Nessuno risponde, ma io non mollo la presa. Nemmeno l’emergenza Covid mi ha fermato”.  

Si arriverà un giorno alla verità?

“Ci si deve arrivare, per forza. Non accetterò mai passivamente l’ingiustizia di non sapere che fine ha fatto mia sorella. A volte mi cadono le braccia di fronte all’altezza dei muri che devo scalare. Ma non mi fermo. Gli anni possono passare, ma il mio desiderio di verità e giustizia quello no, non passerà mai”.

© Riproduzione riservata