Si torna a parlare del Mostro di Firenze. Questa volta a farlo è l’avvocato perugino Valter Biscotti, difensore di Estelle Lanciotti, figlia di Nadine Mauriot, uccisa nel 1985 insieme a Jean-Michel Kraveichvili, nella frazione di San Casciano in Val di Pesa, a Scopeti, che ha presentato una richiesta di avocazione di tutte le indagini e l’accesso agli atti per il delitto dell’85.

L’interesse legittimo dell’avvocato Biscotti e della famiglia delle vittime è quello di ottenere l’accesso agli atti che riguardano il delitto dei due francesi. Gli atti, ad oggi, dopo 37 anni dal delitto, non sono stati ancora resi disponibili per intero: potrebbero fornire informazioni utili per l’inchiesta? È quanto continuano a domandarsi gli avvocati e le famiglie perché, a distanza di molti anni, potrebbe esserci nuovo materiale su cui lavorare.

Diversi gli elementi da considerare, come per esempio i 17 fotogrammi presenti nella Nikon appartenuta alle due vittime francesi che potrebbe risultare di interesse investigativo. Caso contrario è accaduto con il materiale relativo al processo Pacciani, che i difensori avevano richiesto nel maggio del 2022.

I faldoni del Processo Pacciani, che non si trovavano nella Corte d’Assise di Firenze bensì, inspiegabilmente, in altri uffici, si presentavano gravemente lacunosi, mancanti di verbali di dibattimento, perizie, sopralluoghi e atti di istruttoria dibattimentale. Eppure, malgrado i processi, le condanne e le assoluzioni, i dubbi su questa vicenda lunga più di 50 anni restano ancora tanti: chi era veramente il Mostro di Firenze? Chi ha ucciso le coppiette tra il ’68 e l’85? Dov’è finita la Beretta Calibro 22?

Le domande rimbombano continuamente da decenni, sia tra i corridoi delle aule dei tribunali che nelle case delle famiglie delle vittime che attendono giustizia. Qualcuno aspetta ancora la verità, altri invece sono morti senza averla trovata, come il papà di Pia Rontini. La risposta potrebbe arrivare dalla scienza e dalla tecnologia avanzata che, rispetto agli anni ’60 o gli anni ’80, è notevolmente cambiata e avanzata. Esistono ancora reperti che riguardano i delitti – ancora conservati – e che potrebbero fornire risposte, altri invece sono andati perduti per sempre perché distrutti. Potrebbero aprirsi nuovi scenari investigativi rispetto a quelli fino ad oggi emersi. Anche un nuovo studio attento e meticoloso di tutti gli atti processuali potrebbero portare ad elementi che, forse, a suo tempo, non sufficientemente considerati.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Valter Biscotti.

La procura ha chiesto l'archiviazione sul filone d'indagine che riguarda la pallottola rinvenuta nel giardino di Pietro Pacciani nel 1992. Un elemento di prova che, all'epoca dei fatti, ha determinato la sua colpevolezza. Perché quella prova potrebbe essere stata artefatta? Da chi e perché?

“Certamente è inquietante come, a distanza di molti anni, si accerta in maniera giudiziaria, attraverso due consulenze, che la cartuccia rinvenuta nell’orto di Pacciani era artefatta. Significa che la cartuccia non aveva niente a che fare con gli altri proiettili rinvenuti sui luoghi degli omicidi, con delle caratteristiche individualizzanti tali da essere usciti da un’unica arma. La cosa importante è che la sentenza di condanna di Pacciani, di primo grado, si basava essenzialmente sul rinvenimento di questa cartuccia oltre che ad altri elementi, però certamente, come riconosciuto dalla stessa Procura, era uno degli elementi individualizzanti per raggiungere la colpevolezza”.

Questo significa che qualcuno voleva incastrare Pacciani?

“Questo non lo sapremo e non lo scopriremo mai. Certamente è un fatto inquietante e questo mi ha indotto a ragionare sul fatto che quei processi, in qualche modo, sono stati costruiti tecnicamente in maniera molto discutibile. Ovviamente io non voglio accusare e non accuso nessuno, però certamente qualcosa che non va in quei processi c’è sicuramente. Non a caso, il procuratore generale in Corte d’Appello fece una requisitoria durissima nei confronti del procedimento di primo grado”.

Perché il mostro di Firenze non poteva essere un killer gregario?

“Il fatto di essere gregario significa che il mostro si avvaleva di altri soggetti. Io su questo ho seri dubbi, così come nutro seri dubbi anche sul processo ai cosiddetti ‘compagni di merende’, tali da poter essere individuati come una specie di associazione atta a commettere quegli omicidi, non si sa a favore di chi o perché cosa. Mi è bastato ascoltare la testimonianza di Lotti, che sembra un soggetto difficilmente credibile, per credere che in quel processo ci siano molte zone d’ombra. Sono convinto che si tratta di un killer solitario, il classico serial killer che cerca di sfidare le forze dell’ordine che stanno indagando ed è il tipico agire di chi commette questi crimini seriali, lanciando una sfida agli investigatori, cosa che è successa anche in questo caso. Non solo il lembo del seno inviato alla dottoressa Della Monica ma anche le tre lettere spedite ai tre procuratori e chissà, probabilmente ci sono altre sfide che non sono state ancora riconosciute perché sono convinto che negli atti ci sono altri elementi tali da poter individuare non solo l’autore degli omicidi ma addirittura la chiave per individuarlo”.

Dagli elementi riscontrati negli anni, sembra che conoscesse bene le mosse degli inquirenti. Secondo lei come mai?

“È una tesi suggestiva. È la tesi che ha sostenuto Filastò, il difensore di Vanni nel processo ai ‘compagni di merende’, fino all’ultimo. Lui ha sempre sostenuto che il killer potesse essere qualcuno che in qualche modo poteva ricondursi o quantomeno conoscesse le mosse degli inquirenti. Filastò ha anche sempre ritenuto che forse chi ha agito era travestito da uomo delle forze dell’ordine. Ci sono stati alcuni elementi da far pensare una cosa del genere come ad esempio il libretto di circolazione ritrovato all’interno dell’autovettura di uno dei duplici omicidi o altri elementi come il portafoglio di una delle vittime che era stato colpito da un foro di proiettile. Questo lascia intendere – secondo Filastò – che nel momento in cui il killer si è avvicinato alla macchina, gli occupanti stavano tirando fuori il libretto di circolazione o il portafoglio coi documenti quasi a volerli esibire. Questa è la tesi di Filastò. In qualche modo lascia intendere che, forse, chi ha agito, era travestito da poliziotto o uomo delle forze dell’ordine e che potesse avere degli agganci con chi indagava. Noi stiamo seguendo una pista importante. C’è un vecchio rapporto dei Carabinieri di Borgo San Lorenzo che individua con nome e cognome, che per ora noi teniamo riservato, il killer che però non è mai stato oggetto di attenzione da parte degli investigatori. Faccio riferimento alla lista dei sospettati, in cui poi fu individuato Pacciani: in questa lista questo signore non c’era. Il perché non si sa. C’era un rapporto ben chiaro nel 1984 ma non si capisce come mai non è stato preso in considerazione”.

Secondo Lei, con le nuove tecnologie e con gli elementi ancora conservati, sarebbe possibile individuare un profilo e svolgere ulteriori indagini?

“Ovviamente useremo le nuove tecniche d’indagine. Sono stati rinvenuti dei Dna. È importante confrontarli con tutti i sospettati, alcuni sono stati fatti e sono risultati non coincidenti. La cosa importante che occorre fare è un’analisi entomologica relativamente all’ultimo dei duplici omicidi per dimostrare che l’omicidio non è stato commesso la domenica ma qualche giorno prima, forse addirittura venerdì. Questo per dimostrare che quello che ha dichiarato Lotti è privo di fondamento. Lui ha dichiarato di aver visto Pacciani e Vanni la domenica mentre ammazzavano la coppia di francesi. Ci sono forti dubbi su queste dichiarazioni proprio perché, a mio giudizio, con un’indagine entomologica fatta per bene, con le nuove tecnologie, potremmo avere delle sorprese”.

Nel corso delle sue indagini, invece, ha individuato un nome?

“Noi stiamo facendo indagini, ci interessa scoprire chi è stato ma la cosa più importante è che noi vogliamo accedere agli atti, cosa che non siamo riusciti a fare completamente. Stiamo aspettando una risposta dalla Corte d’Assise di Firenze. Quando avremo una cognizione completa di tutti gli atti potremo lavorare in maniera più completa”.

Oggi, alla luce delle incongruenze emerse su molti elementi che all'epoca dei fatti risultavano probatori, possiamo parlare di depistaggi? Per mano di chi? Soprattutto perché?

"Più che depistaggi, io credo che il killer abbia indicato delle piste o delle piste false. Nutro dei dubbi ma soltanto a livello logico sul primo delitto del ’68 e il ritrovamento del proiettile nel fascicolo. Li forse è un aspetto che merita un approfondimento più completo. Non vorrei che sia stata una manina a mettere quei proiettili nel fascicolo del ’68. Forse non per depistare ma per distrarre l’attenzione e confondere le acque”.

Angelo Barraco

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