In coma vegetativo da 6 mesi, e la sua famiglia che chiede di “staccare la spina”. Samantha D’Incà, 30enne del Bellunese, da molti viene considerata la “nuova Eluana Englaro”, in realtà la situazione – rispetto alla donna che ha vissuto in coma per 17 anni – è parzialmente diversa perché all’epoca della sua morte (avvenuta per interruzione dell’alimentazione artificiale) non c’era una legge sul fine vita.

Eppure, nonostante l’espressa posizione assunta dal padre e dalla madre di Samantha, ossia di “lasciar andare” la figlia al suo destino e di “darle la pace”, il tribunale ha negato lo stop alle macchine, disponendo invece che venga idratata, nutrita e sia sottoposta a un nuovo tentativo di riabilitazione.

La 30enne di Feltre nel novembre scorso è stata sottoposta a un intervento a un arto ma a causa di complicanze aveva riportato gravi danni neurologici tanto da non poter sopravvivere senza essere assistita da dispositivi esterni.

Più volte, secondo amici e parenti, avrebbe comunicato l’intenzione di non voler essere costretta a una vita come “un vegetale”, ma di scritto non esiste nulla, le sue volontà sono rimaste nelle sue frasi.

L'Associazione Luca Coscioni è però impegnata nel tentare di superare lo scoglio giudiziario: "Abbiamo già seguito precedenti vittoriosi – ha detto il tesoriere Marco Cappato - questa cosa può essere risolta sulla base delle battaglie vinte in precedenza". Cappato si è detto fiducioso: " È normale per la legge non accogliere subito l'istanza se non c'è un testamento biologico ma abbiamo già seguito procedimenti giudiziari di questo tipo".

(Unioneonline/s.s.)

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