Un difficile racconto, di dolore e sofferenza, quello di Laura Boldrini a proposito del tumore da cui è stata colpita e che ha scoperto nell’aprile 2021.

Una diagnosi arrivata quasi per caso, e dopo un anno di fastidi a una gamba che l’ex presidente della Camera aveva attribuito a un’infiammazione del nervo sciatico.

A convincerla a farsi vedere, come ricordato dalla stessa Boldrini in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, una vicina di casa osteopata, conosciuta sul balcone durante il primo lockdown.

Da lì una risonanza magnetica e la sentenza, pesantissima: “Lesione tumorale al femore: un condrosarcoma. Devo fare la Tac, la Pet, la Total body...”.

La Boldrini rivive allora un incubo, quello della mamma morta di cancro: “L’ho accompagnata fino all’ascensore per la camera operatoria – spiega – ed è stata l’ultima volta che le ho potuto parlare: è andato tutto male, è finita in rianimazione, è rimasta attaccata alle macchine per due settimane, ha esalato lì l’ultimo respiro. Poi mia sorella Lucia se ne è andata a 46 anni. Era molto religiosa, ha deciso di lasciare che avvenisse la volontà di Dio. Una dimensione punitiva della fede, che ho contestato sino alla fine; ma mia sorella non ha ceduto di un millimetro. Ha rifiutato anche le cure palliative”.

A questo punto subentra dapprima il rifiuto – “forse l’errore lo sta facendo il medico”, ha inizialmente pensato – e poi la raccolta di informazioni online: “Ho cominciato a cercare informazioni, a pensare a quel che poteva succedermi. Restare zoppa. Perdere la gamba. Rimanere inchiodata in un letto. Un paradosso, dopo una vita sempre improntata al movimento, le missioni in zone di guerra... Ora avevo mille ipotesi davanti a me. E mi facevano tutte orrore”.

Quindi l’ingresso in ospedale, e la scoperta del meglio e del peggio dell’animo umano. Fra gli altri malati, anche una ragazza appena diciannovenne e “già davanti alla prova della vita. Timida, dolce, sempre timorosa di disturbare le infermiere...”.

L’intervento riesce “grazie ad Alessandro Gasbarrini - racconta la Boldrini - un eroe. Uno capace di operare per quindici ore di seguito. La mia operazione non è durata tanto, ma è stata complicata: il professore ha tolto 25 centimetri di femore, ha inserito una protesi di titanio da 45 centimetri, che pesa un chilo in più ed è incastonata da un lato in quel che resta del femore, dall’altro nel bacino..”. Infine la terapia intensiva “dove perdi la nozione del tempo. Quando ho sentito mia figlia al telefono, la tensione si è sciolta, e finalmente ho pianto”.

Al rientro a Montecitorio gli applausi anche degli avversari: “Mi ha fatto piacere”, racconta la deputata Pd. Che aggiunge: “Voglio battermi per i malati, per chi vive uno stigma che perdura dopo la guarigione, e non riesce ad accedere al credito, a fare e un mutuo, a chiedere una polizza sulla vita, ad adottare un bambino. Al Senato c’è una proposta di legge della mia omonima Paola Boldrini sul diritto all’oblio: dopo dieci anni, quando non sei più a rischio, la tua malattia non deve più essere menzionata”.

Sulla decisione di parlare della malattia “tre i motivi” che l’hanno spinta a farlo. “Contribuire a scardinare il pregiudizio che dà tanto disagio alle persone. Condividere la condizione con chi l’ha vissuta, anche per incoraggiare altri a non stare in silenzio: il silenzio isola, il silenzio deprime. Trasformare la battaglia contro la malattia in una battaglia di civiltà”.

(Unioneonline/v.l.)

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