Il testimone al processo per Giulio Regeni: «L’ho visto bendato e ammanettato, sfinito dalla tortura»
Parla un ex detenuto al Cairo: «Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Giulio Regeni era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. L'ho rivisto che usciva dall'interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla. Lo stavano riportando alle celle».
Lo afferma nel video di un documentario mandato in onda da Al Jazeera, e proiettato oggi in aula al processo in corso a Roma per la morte del ricercatore, un cittadino palestinese che è stato detenuto in una struttura detentiva degli apparati egiziani.
«Non era nudo - ha riferito nel corso dell'intervista - indossava degli abiti, dei pantaloni scuri e una maglietta bianca. Ho visto un altro detenuto con segni di tortura sulla schiena. I carcerieri insistevano molto con la domanda “Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l'interrogatorio”. Erano nervosi, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente».
Oltre ai carcerieri, ha raccontato ancora in aula il testimone, «c'erano gli investigatori, ufficiali che non avevo visto prima e un colonnello, un dottore specializzato in psicologia. Non c'era nessun contatto con il mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché».
Il processo
Pochi giorni fa ha testimoniato la coinquilina del ricercatore italiano al Cairo, sentita in forma protetta per ragioni di sicurezza nel processo a quattro 007: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif. Un presunto appartenente ai servizi segreti egiziani, intorno al 15 dicembre di 9 anni fa, ha detto, si recò nell'abitazione di Regeni e chiese al suo coinquilino, un avvocato egiziano, copia del suo passaporto.
Il "teste Beta", che all'epoca dei fatti divideva l'appartamento con Giulio e Mohamed El Sayed, ha raccontato quanto l'avvocato gli riferì. «A casa nostra si presentò la polizia e chiese copia del documento di Giulio. El Sayed era convinto che questo controllo era stato fatto dalla National Security, il servizio segreto egiziano». La testimone, che insegnava tedesco in una scuola privata della capitale egiziana, non era presente in casa quella mattina.
«El Sayed era scosso, impaurito: era convinto che fossero i servizi anche se usarono come scusa una sorta di schedatura di tutti gli stranieri presenti in città. In Egitto c'è una sorta di paranoia tra i cittadini per queste dinamiche, temono l'autorità». In base a quanto riferito dalla teste, El Sayed «si scambiò il numero di telefono con l'agente dei servizi e non raccontò della visita a Giulio. Gli disse solo che gli stranieri devono dare documenti e presentarsi alla stazione di polizia. Forse aveva un sospetto che lui aveva fatto qualcosa che non doveva fare. Dopo la scomparsa di Giulio - ha aggiunto - la polizia è ritornata a casa ma non ci fu un vero e proprio sopralluogo, non portarono via nulla. Io sono stata ascoltata per tre volte dalle autorità egiziane e non so dire se tra le persone che mi interrogarono c'era anche l'ufficiale che bussò alla nostra porta a dicembre».
Da una analisi dei tabulati telefonici svolta dagli investigatori del Ros, e presente in una informativa depositata nei giorni scorsi, risulterebbero dei contatti telefonici tra il presunto agente dei servizi e il coinquilino di Giulio proprio il 26 gennaio, il giorno successivo alla scomparsa del ricercatore friulano: Regeni, secondo l'impianto accusatorio, venne prelevato ad una stazione della metropolitana del Cairo.
(Unioneonline/D)