Nella sua terra l'abbiamo conosciuto così. Un giorno è a Varese, in ritiro con la nazionale di Arrigo Sacchi e Pietro Carmignani. Hotel Palace, primo pomeriggio, giornata di caliginose brume. Siede sul trespolo al bancone del bar, si scalda sorseggiando whisky. "Gede" accetta di mediare per una chiacchierata giornalistica: macché, l'intervistando sorride da lontano e declina. Burbero e arcigno. Secondo costume. Però ci tiene a comunicare ch'è una sua regola, non l'eccezione. Sono fatto a ‘sto modo. Non una novità.
Marcia indietro nel tempo: fine di luglio del ‘70, epoca post Mondiale messicano, casa di Gigi Riva a Leggiuno. Il fotografo Mario Broggini del quotidiano locale La Prealpina ha preparato un ingrandimento a misura d'uomo, incollandolo sul cartone. Rappresenta il bomber in maglia rossoblù a Masnago, domenica dell'esagerato 6-1 (tre gol suoi) del Cagliari di Scopigno al Varese di Arcari, evento d'un anno e mezzo prima.
Gliela vuole consegnare, appassionato omaggio al genio calcistico. Suona il campanello. A lungo. Dopo un bel po', si apre la persiana. Alla finestra un'ombra che grugnisce: lasciatemi dormire. Beh, è mezzogiorno. Seguono spiegazioni vivaci. Infine, l'uomo allora più amato d'Italia scende, apre la porta, riceve il dono, ringrazia. Chiude con un abbraccio ruvido, una pacca generosa: dai, vi voglio bene. Figuriamoci noi. Caro Luìs. Carissimo Gigi. Che notte ci regalasti all'Azteca. Poi tutto il resto.
Chissà se Skoglund e Nyers, se fossero tra di noi, si pentirebbero di non avere risposto alle lettere che, bambino, gli scrivevi da Leggiuno, chiedendo un autografo. Se Moratti padre licenzierebbe ex post il diesse che non seppe portarti a Milano, nella squadra del cuore. Zeffirelli non si stancherebbe certo di rimproverarti il rifiuto a recitare nel film su San Francesco: non capì il no a un cachet di quattrocento milioni. Noi, gente del tuo lago, ti capimmo benissimo. Quella volta, altre volte.
Massimo Lodi
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