Un trapano come arma del delitto, tracce di Dna che scagionano tutti i sospettati, una trasmissione televisiva dedicata a quell'omicidio che fa riaffiorare nella mente di una donna alcune rivelazioni avute dalla madre sul caso. C'è un giornalista in tv e a lui la donna si rivolge per indicare una pista e provare a risolvere un cold case: quello del “delitto del trapano”.

Maria Luigia Borrelli, nata a Iglesias ma trasferitasi a Genova quando era giovane, venne assassinata il 5 settembre 1995 nella città ligure, in un basso in vico Indoratori dove si prostituiva con il nome di Antonella.

Una donna, allora bambina, figlia di una amica della vittima, ha rivelato al giornalista de Il Secolo XIX Marco Menduni alcune confidenze ricevute dalla madre, non più in vita. Maria Luigia Borrelli potrebbe essere stata uccisa da un primario di un ospedale cittadino con il quale aveva una relazione e che lei aveva ricattato.

Menduni ha messo la donna in contatto con la Procura di Genova e il caso è tornato sulla scrivania del sostituto procuratore Patrizia Petruzziello. La testimone è già stata sentita dai carabinieri, ha raccontato che  sua madre le confidò di avere forti sospetti su un primario, morto negli anni scorsi.

L'uomo l'aveva conosciuta in corsia dove lavorava come infermiera prima di dedicarsi all'assistenza agli anziani. La testimone ha raccontato che la madre le disse che il primario nei giorni dopo l'omicidio si presentò al lavoro con il volto segnato, tanto che qualcuno gli disse se avesse fatto a pugni con il gatto. Non solo, la donna rivelò alla figlia che dietro all'omicidio poteva esserci un ricatto da parte della Borrelli.

Il Dna dell’assassino è stato trovato dagli investigatori di allora sulla scena del crimine, ma non ha dato corrispondenza con i sospettati. Anzi, ne ha scagionato uno, quando già era troppo tardi: poco prima che arrivassero i risultati, travolto dalla vergogna per i sospetti, il muratore Ottavio Salis si era ucciso lanciandosi dalla sopraelevata. Era suo il trapano usato per uccidere, ma l'attrezzo era lì perché stava ristrutturando il basso.

Poi gli inquirenti misero nel mirino una gang di strozzini, un cliente abituale, un uomo che si presentò insanguinato in un albergo della zona, un marocchino autore di omicidi a Torino. Ma il Dna li ha scagionati tutti. Ora si ricomincia.

LA STORIA DI MARIA LUIGIA BORRELLI

Nata a Iglesias nel 1953, si trasferisce a Genova alla fine degli anni ‘70, dove trova lavoro come infermiera all’ospedale San Martino. Qui conosce il magazziniere Mario Arnaldo Andreini, i due si sposano e danno alla luce due figli, Roberto e Francesca.

Verso la fine degli anni ‘80 lui, stanco della vita da magazziniere, compra un bar. Ma, non avendo i soldi necessari per ristrutturarlo, finisce in mano agli usurai e muore nel 1990 lasciando Luigia con un debito di 250 milioni di lire.

Lei, pressata dagli usurai, si licenzia dall’ospedale e diventa Antonella. Prende in affitto un monolocale nel centro storico e inizia a prostituirsi. I figli sanno che lavora come infermiera a domicilio dalla signora Adriana Fravega, in realtà anziana ex prostituta proprietaria del locale che ha in affitto. Il 6 settembre 1995 la figlia Francesca, non vedendola rincasare, chiama a casa di Adriana, quest’ultima chiama i carabinieri che si recano nel monolocale.

La scena che si trovano davanti è agghiacciante: Maria Luigia Borrelli giace a terra in un lago di sangue, nuda dalla vita in su e con la punta di un trapano elettrico conficcata nella gola. Partono le indagini, che nel corso degli anni condurranno a diversi sospetti, ma a nessuna verità. Che sia la volta buona?

(Unioneonline/L)

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