Decreto Cutro alla prova del tempo: tra ideologia e realtà contingente, quale effettività?
Alla prova dei fatti scarse le conseguenze del “trattenimento alla frontiera”: poche le convalide dai magistratiLa scelta politica in materia di migranti dell’attuale Governo Meloni sembrerebbe essere apparsa molto chiara fin da subito in senso, se così si possa dire, restrittivo. E ciò, nonostante l’inefficacia negli anni, attuali e trascorsi, della politica cosiddetta dei rimpatri, comportante procedure complesse ed in molti casi costose che, anche per siffatte ragioni, hanno conosciuto ieri, e rinvengono oggi, esigue applicazioni. Più che altro, i migranti, sembrerebbero permanere sul territorio italiano, e nella stragrande maggioranza dei casi, in assenza di alcuna possibilità di inserirsi nella società.
Da ultimo, proprio sugli esiti applicativi del cosiddetto Decreto Cutro (Decreto-Legge n. 20 del 2023 convertito in Legge il 5 maggio del 2023, n. 50), introdotto proprio dall’attuale Governo Meloni, e recante “Disposizioni Urgenti in materia di Flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”, sembrerebbe giocarsi l’effettività e la praticabilità pratica del “trattenimento alla frontiera”.
Stando alle notizie riportate da importanti organi di stampa, in percentuale, del numero indicativo delle intraprese decisioni di trattenimento alla frontiera disposti dalla questura di Agrigento, solo pochissime sono andate poi incontro a convalida da parte dalla magistratura. In buona sostanza, in assenza della “dovuta motivazione sulla necessità del trattenimento, sulla sua proporzionalità e sull’impossibilità di fare efficace ricorso alle altre misure alternative, di tipo non coercitivo”, nessuna misura in tal senso può essere applicata. Tanto più allorquando si voglia considerare che proprio lo stesso disposto dell’articolo 10, comma 3, della nostra Costituzione italiana, alla maniera in cui è stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità e nel significato attribuitogli anni orsono dalle Sezioni Unite, condurrebbe ad escludere financo che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere la agognata protezione internazionale. E ancor di più, allorquando, anche a tutto voler considerare e ritenere, la Direttiva 2013/33, contempli, al suo articolo 9, tanto il diritto ad essere trattenuti solo per un certo periodo, il più breve possibile, quanto il diritto a che il provvedimento sia disposto in forma scritta da una autorità amministrativa o giudiziaria e che contenga la esposizione analitica delle ragioni di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento, oltre che il diritto ad ottenere il riesame del provvedimento di trattenimento dall’autorità giudiziaria, sia d’ufficio che ad istanza del richiedente mediante il ricorso all’assistenza legale anche gratuita per quanti non dispongano delle risorse necessarie.
Intanto, perché ai sensi dell’articolo 5 della CEDU, questa forma di privazione della libertà, ossia il trattenimento dello straniero, sembrerebbe consentita, purché si tratti di una misura adottata in vista dell’espulsione, oppure quale misura di prevenzione nei confronti di un ingresso non autorizzato nel territorio nazionale, tenuto conto del fatto che la privazione della libertà dei migranti allorquando, e se, si trovino in situazione irregolarità, non potrà configurarsi come arbitraria, né può men che meno costituire la conseguenza automatica di una violazione, o pretesa tale, della legislazione relativa agli stranieri. Quindi, perché, volendolo dire diversamente, il provvedimento di trattenimento dei migranti deve essere misura eccezionale, di extrema ratio, proporzionata e, di conseguenza, rappresentare una misura assolutamente di carattere individuale siccome ritenuta necessaria quale misura di prevenzione dell’immigrazione clandestina. Infine, perché, il trattenimento dei migranti presso una struttura di identificazione non dovrebbe mai configurarsi quale misura avente, in qualche maniera, un carattere punitivo.
Alla luce dei numeri forse, sarebbe utile, se non proprio doveroso anche in considerazione dello scenario internazionale in continua trasformazione, predisporre una riforma del sistema di accoglienza che sia effettivamente rispondente all’esigenza di contemperamento tra dovere di salvataggio in mare, gestione degli arrivi, inserimento sociale e garanzia di sicurezza.
Inviolabilità dei diritti fondamentali e libertà nel rispetto del prossimo sembrerebbero essere le parole d’ordine per un cambiamento radicale del concetto del “limite” quale confine fisico e per la costruzione di una società multietnica sicura e globalizzata.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro