Gli investigatori hanno depositato le chat estrapolate dal cellulare di Alessia Pifferi, la donna di 37 anni arrestata lo scorso 21 luglio per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana – un anno e mezzo – abbandonandola da sola in casa per ben sei giorni.

Il contenuto delle conversazioni è coperto dal più stretto riserbo, ma conferma il quadro emerso sinora: la piccola Diana era un “peso” per la mamma che soffre, per dirla con le parole del gip Fabrizio Filice, di una “evidente instabilità affettiva” recentemente “manifestata in una forma di dipendenza psicologica dall’attuale compagno, che l’ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo di infliggere enormi sofferenze alla bimba”.

È stata intanto rigettata la richiesta di accesso in carcere del professor Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica all'Università di Pisa, uno dei due docenti incaricati dalla difesa di redigere una consulenza neuroscientifica e psichiatrica sulla donna. Il gip non ha ravvisato motivi validi per consentire colloqui, al di là di quelli con i legali, con persone esterne e medici ai fini di una consulenza sullo stato di salute mentale della donna. 

Anche la nonna e la zia della vittima hanno nominato un loro legale per costituirsi parte civile contro Alessia, che deve rispondere di omicidio volontario aggravato.

(Unioneonline/L)

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