In tre hanno quasi trecento primavera e un bagaglio di ricordi ancora nitidissimi.

Salvatorangelo Onida, 97 anni, e sua moglie Giovanna Caterina Schirra, solo di un anno più giovane di lui, sono tra i testimoni viventi di come Ghilarza sia cambiata nel corso dei decenni. Ricordano il rifugio antiaereo ai tempi della guerra, le strade che non c’erano, le difficoltà di un tempo, ma anche l’unità che c’era. A loro, dopo un’oretta di piacevole chiacchierata che a guardarli e sentirli si resta incantati, si unisce Maria Antonia Piras, anche lei 97 anni e vicina di casa da una vita.

Anche per lei tuffo nei ricordi. Partiamo dal rifugio antiaereo, oggi completamente scomparso. In via Alghero, al suo posto, sorge una casa e la strada. “Era a servizio della scuola, ma quando era chiusa capitava che anche la popolazione lo usasse. Suonavano la sirena”, racconta Salvatorangelo Onida. “Scusi, posso cantarle una canzone?” Come no! Ed ecco allora che la moglie, con memoria perfetta, intona una delle canzoni che all’epoca fascista lei e le sue compagne cantavano ogni giorno. La ricorda tutta? “Certo che si!”. E dopo un po’ la protesta bonaria perché i tanti aneddoti di un tempo non hanno permesso che concludesse. E allora prego. A riprendere le fila del discorso è ancora il marito: “Il rifugio era interrato, ma non molto profondo. A fine della guerra l’hanno distrutto. A Ghilarza c’erano tutti i corpi militari, c’era la cucina della sussistenza che distribuiva il pranzo per tutta la zona. Dall’attuale campo sportivo le tende dei militari arrivavano sino a quasi al cimitero”.

Salvatorangelo Onida ricorda che avevano tentato di bombardare la diga. E prosegue: “Nel novenario di San Giovanni c’era la milizia di Mussolini, da ponte di Tadasuni, sino a dopo il paese, c’era la lavanderia militare per tutta la Sardegna”. Tanti, tantissimi i cambiamenti nel corso dei decenni: “Non c’erano le strade, Ghilarza e Abbasanta non erano unite in un unico abitato. Ghilarza, soprattutto dopo la fine della guerra, ha avuto un grande sviluppo. Soprattutto dopo gli anni Cinquanta i cantieri erano continui. Noi siamo stati i primi abitanti di via Cagliari, era il 1954”.

Ricordi condivisi con la moglie che aggiunge particolari e ricorda come la vita delle donne era tra casa, scuola e campagna. Tanti gli aneddoti che si susseguono, come quando nel 1943 i tedeschi “presero un mezzo dell’impresa per la quale lavoravo – ricorda Onida – e rovesciarono un carico di scatolette: non ne lasciarono una”. 

Alla conversazione si unisce poi Maria Antonia Piras, arrivata in via Cagliari quattro anni dopo dei coniugi Onida.

“Prima c’era più rispetto e unità”, sentenzia. Ma subito interviene Salvatorangelo: “Oggi però c’è il benessere”. E la sera trascorre lenta ricordando i tempi che furono.

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