Il volto è quello di un lager di rifiuti. Spettrale come il tanfo che si inerpica per chilometri sul Paese d’ombre. Inutile persino la maschera che ha rallentato il Covid, ma non l’avanzare del putrido fetore che si staglia come una cesoia sulla piana tra Villacidro e San Gavino. Le immagini del reportage dentro il presidio dei rifiuti di Villaservice non sono prove, ma chiodi. Chiodi che inchiodano. Ogni tentativo di trovare giustificazioni e rassicurazioni postume si dilegua davanti all’avanzare di quei fotogrammi immortalati, quasi come un presagio, prima e dopo la drammatica fine di Ignazio Sessini, l’operaio che ha perso la vita nel solitario turno notturno dentro l’inferno dell’impianto di compostaggio nella zona industriale di Villacidro. Parlano, copiosamente, i lavoratori della Villaservice, raccontano e documentano, foto e video, davanti agli inquirenti e gli organi di sicurezza.

Memory card

Cercano giustizia per il loro compagno di lavoro, ma non si tirano indietro quando ci sono da individuare le responsabilità di una gestione degli impianti vergata nelle carte e impressa negli occhi di chi ha sigillato su una memory card tutto quello che accadeva in quella quotidiana roulette russa. I video sono un film dell’aldilà con l’acqua che copiosa scende dai muri e si riversa dritta dritta sulle prese elettriche del capannone principale, con fiumi di liquami che, anziché finire nelle caditoie scavate nel pavimento della struttura, stazionano come un lago di veleni e fetore in quei duemila metri quadri dove lavorare è roba da quarto mondo. Ci sono le celle di “maturazione” dei rifiuti, primo ed essenziale passaggio della lavorazione, che appartengono più ad un covo di fetore allo stato brado che ad un luogo dove si svolge un processo industriale di trattamento di rifiuti. I punti di raccolta dei percolati, i liquidi fetidi dei rifiuti, sono spariti, cancellati dall’incedere del degrado della struttura rendendo improbo qualsiasi intervento di pulizia e manutenzione. Le pareti sembrano segnate da una guerra al cemento armato, con i ferri strutturali che riemergono con un evidente processo di ossidazione che scava nell’unica certezza dell’armatura. Il sottosuolo è putrido. Lo stabilimento è impregnato alla radice di ogni malsano refluo. Certo, anche dinanzi ai dati di fatto ci sono le difese d’ufficio, quelle dei comunicati affidati all’agenzia di stampa pagata con i soldi dei cittadini per promuovere i gestori di rifiuti come fossero dei mercanti di profumi. E poi, però, ci sono le carte, i documenti. E’ l’otto luglio scorso, appena quattro giorni dopo la morte del povero Ignazio Sessini, finito senza un minimo allarme o soccorso nel “tritomiscelatore” dell’impianto, quando il protocollo della Villaservice spedisce nell’etere degli atti amministrativi un «avviso esplorativo». L’oggetto è messo nero su bianco:«manifestazione d’interesse per l’affidamento dei lavori di ripristino delle biocelle e delle celle di maturazione presso l’impianto di compostaggio», lo stesso dove ha perso la vita il dipendente della società dei rifiuti. La premessa è una contraddizione senza appello. Scrivono che «non è indetta nessuna procedura di gara», nessun «affidamento concorsuale». Si tratta, scrivono i signori della Villaservice, «semplicemente di un’indagine conoscitiva finalizzata all’individuazione di operatori economici da consultare». Eppure, poco dopo, declinano quello che definiscono come «oggetto dell’appalto». L’importo complessivo dell’intervento preannunciato è di 310 mila euro. Lavori urgenti, se è vero che per ben sedici volte viene disposta la lavorazione in turni notturni, ovvero il 100% delle opere dovranno essere realizzate dalle 18.00 alle sei del mattino. Allegata all’avviso esplorativo c’è, però, la relazione tecnica illustrativa.

Il cumulo di rifiuti sulle porte di emergenza e sotto le centraline elettriche (L'Unione Sarda)
Il cumulo di rifiuti sulle porte di emergenza e sotto le centraline elettriche (L'Unione Sarda)
Il cumulo di rifiuti sulle porte di emergenza e sotto le centraline elettriche (L'Unione Sarda)

“Confessione”

Sintetica, certo, edulcorata, sicuramente, ma efficace nel cuore delle questioni. Quel capannone, per chi traduce il contenuto del documento, è in condizioni da inferno, vero, non figurato. L’elenco di quelle che il progettista si limita a chiamare «criticità» è in realtà una confessione senza appello. La giustificazione è la premessa dell’allegato. Scrive il professionista: «La realizzazione di questa parte di impianto risale a circa 15 anni fa, nel tempo si sono evidenziate delle criticità». La scansione del degrado non è una passeggiata in un prato verde. Il cuore del problema è circoscritto su quattro macro questioni, ma gli interventi previsti sono sedici stazioni di degrado e negligenza. La prima macro area di intervento individuata è nel cuore del processo, quella delle operazioni di carico e rimozione del compost, depositato nelle biocelle e nelle celle di prima maturazione. Dislivelli tra pavimentazione, corridoi e celle che «riducono la superficie di aerazione dei rifiuti non consentendo pertanto un ottimale trattamento degli stessi». Ovviamente la preoccupazione che traspare nel progetto è tutta protesa all’aerazione dei rifiuti, ma il passo verso la sicurezza e la salubrità del posto di lavoro è molto breve, brevissimo. 

L'impianto dove ha perso la vita l'operaio (L'Unione Sarda)
L'impianto dove ha perso la vita l'operaio (L'Unione Sarda)
L'impianto dove ha perso la vita l'operaio (L'Unione Sarda)

Tutto fuori uso

La relazione, poi, è costretta a mettere nero su bianco il «cedimento delle lamiere che coprono i cavedi di ispezione del vespaio aerato a causa del passaggio dei mezzi d’opera» sino a registrare un altro macroscopico elemento che avrebbe dovuto dar seguito a ben altre decisioni con «l’intasamento costante delle canalette di raccolta del percolato, lungo il corridoio centrale». Come per dire tutti i percolati, i liquidi fetidi dei rifiuti, non finivano nelle vie di raccolta previste ma restavano perennemente sul luogo di lavoro incrementando in maniera “disumana” l’invivibilità di quel luogo. Non è finita. La relazione scrive: «Degrado delle pareti e dei massetti in calcestruzzo armato a causa della rimozione parziale del copriferro ad opera delle macchine operatrici, con evidenza dei ferri di armatura e conseguente avvio del processo di ossidazione degli stessi». I lavori previsti non prevedono una spolverata. In gran parte delle opere, infatti, è prevista «l’integrale demolizione e rimozione» di quelle criticità. Affermare che tutto va bene, quando poi tutto va male, significa rischiare una complicata arrampicata sui rifiuti. E l’appalto, quattro giorni dopo il lutto, non ha bisogno di commenti.

Mauro Pili

© Riproduzione riservata