“Chiediamo scusa alla Sardegna per aver importato il virus col turismo”. E’ quanto afferma con decisione Roberto Calderoli nella sua qualità di Vice-Presidente del Senato in forze alla Lega. Continuano, infatti, ad imperversare non solo gli attacchi gratuiti e inopportuni, ma anche, e di conseguenza, le polemiche oltremodo legittime per le gravissime “offensive” diffamatorie sferzate da più parti in danno della nostra Terra Amata in conseguenza dell’improvviso incremento del numero dei contagi da Covid-19 registrato nelle ultimissime settimane. A quanto pare, la drammatica e incolpevole (ci tengo a sottolinearlo) esperienza lombarda sembra proprio non aver insegnato alcunché sul piano etico o morale, e men che meno su quello civico. La cultura del pregiudizio, selvaggiamente utilizzata da chiunque vi abbia momentaneo interesse quale strumento feroce di diffusione del terrore e di persuasione delle masse anche e soprattutto a scopo tipicamente politico/giornalistico ed in funzione vigliaccamente marginalizzante, sembra riuscire sempre a prevalere sul buonsenso, sulla condivisione, sulla solidarietà. La nostra italica società post-contenimento sembra volersi ri-fondare sul pre-concetto di nuove e più incisive forme di antitesi sociale declinate su vari e distinti livelli che allontanano l’essere umano dai propri simili, anche connazionali, asserragliandolo in una bolla di individualismo spersonalizzante che lo rende incapace di qualsivoglia manifestazione empatica verso il proprio prossimo vicino e lontano. Cresce insensata l’esigenza di trovare a tutti i costi un colpevole sul quale riversare le responsabilità degli accadimenti fattuali recenti dimenticando, purtroppo, e troppo spesso, che i potenziali (ir)-responsabili li dobbiamo ricercare in tutti noi ogni qual volta ci ritroviamo ad essere sedotti dall’illusione e/o dalla pia pretesa di ignorare le più elementari nuove regole precauzionali del vivere in comunità senza scontarne le conseguenze.

Non mi è mai piaciuto puntare il dito su chicchessia per il sol gusto di farlo, e non lo farò neppure in questa circostanza incresciosa. Il “giudizio” fine a se stesso non mi appartiene, ho sempre preferito “comprendere” gli atteggiamenti ed i comportamenti umani e, laddove possibile, giustificarli pur doverosamente stigmatizzandone la gravità ed il pericolo, soprattutto allorquando, in situazioni quale quella attuale, del tutto inedita, quindi difficilmente gestibile da parte di “chiunque” (si intenda soprattutto Destra e Sinistra), sia indispensabile intuire sia che “nessuno si salva da solo” (espressione tratta dal romanzo omonimo di Margaret Mazzantini), sia che in quanto esseri umani esposti alle intemperie dell’esistenza sotto lo stesso cielo non siamo infallibili neppure quando siamo chiamati ad interpretare ruoli di rilievo istituzionale e quindi ad esercitarne le relative funzioni. Chi assume su di sé l’onere decisionale è soggetto pure a sbagliare giacché ogni decisione reca con sé conseguenze ed effetti positivi ma anche negativi. Con questo non voglio certo sostenere che la “critica” non sia un diritto, lo è eccome e talvolta va esercitato pure duramente, ma sempre con finalità costruttiva in una dimensione di correttezza, trascurando, quindi, inutili e perverse “falsificazioni” di sicuro impatto mediatico ma di scarsa concretezza risolutiva sul piano pratico. In questo senso appare fin troppo semplicistico e deviante, sul piano argomentativo prima ancora che su quello sostanziale e di merito, descrivere artatamente e pretestuosamente la Sardegna come “Terra di Untori” sol per creare un inutile e dannoso allarme sociale, ovvero tentare di addebitare al Governo Conte Bis, mediante addirittura il ricorso alla magistratura, la presunta responsabilità per aver cagionato il diffondersi di una “epidemia colposa”, ossia per non aver salvaguardato l’isola dai contraccolpi della pandemia, allorquando il comportamento diffamatorio avente rilevanza penale sia stato posto in essere da altri “soggetti” e/o da mezzi anche piuttosto importanti di (disi)-informazione ispirati, nella circostanza, dall’incauto ed inopportuno agire di quanti abbiano omesso di rispettare, e/o far rispettare, il distanziamento sociale e l’utilizzo dei presidi sanitari raccomandati anche nel godimento, sia pure oltremodo legittimo, della movida notturna. Ed è ancora oltremodo semplicistico puntare il dito sui rappresentanti della maggioranza in Consiglio Regionale per non essere parimenti riusciti, con le loro decisioni e/o coi loro tentennamenti, a preservare l’isola (notoriamente Covid-free) dal contagio. Allo stesso modo, appare, altresì, fin troppo elementare, e pure razionalmente incomprensibile, gettare ulteriore legna sul fuoco a solo scopo propagandistico individuando gli “untori” nei soli soggetti più deboli e indifesi della gerarchia sociale, ossia nei mal capitati migranti, quasi che i due fenomeni, pandemia e immigrazione, siano, ed evidentemente non lo sono, inequivocabilmente interdipendenti.

Lo ripetiamo da sempre: il ricorso alla magistratura (anche in danno, da ultimo, di Musumeci e Salvini, sui quali grava una denuncia per procurato allarme, abuso d’ufficio e diffamazione, e non solo in danno del Governo Conte Bis sul quale grava invece una denuncia per epidemia colposa) quale strumento di risoluzione dei conflitti tra forze partitiche contrapposte è il segnale evidente del decadimento di una classe politica litigiosa e neghittosa ed in quanto tale inidonea a svolgere le funzioni che le sarebbero proprie; la strumentalizzazione fine a se stessa dei fatti contingenti a scopo di sterile propaganda elettorale in danno degli immigrati, comunque da sempre abbandonati a se stessi, è il segnale altrettanto evidente della carenza di contenuti e di progetti programmatici validi. La politica della gestione “assolutistica” dei confini nazionali (noto cavallo di battaglia di una certa politica destrorsa ansiosa di recuperare il facile consenso elettorale perduto attraverso la persistente e quanto mai noiosa e defatigante demonizzazione dei fenomeni migratori di massa), assecondando pericolosissimi impulsi isolazionistici, vorrebbe inculcare nell’immaginario collettivo la fantastica illusione della perseguibilità dell’obiettivo della “purificazione salvifica” mediante la costruzione di un modello di società trincerata dietro il filo spinato della paura dell’ “alieno” che in realtà si è sempre rivelato storicamente fallimentare siccome impossibile da perseguire anche a prescindere da una valutazione compiuta e dettagliata dei “pro” e dei “contro” di una impostazione di tal fatta.

Non si tratta di essere buonisti a tutti i costi, non sarebbe giusto, e neppure costruttivo, ma semplicemente dell’essere consapevoli della propria come dell’altrui fallibilità in un momento in cui il desiderio di recuperare quella “normalità” perduta prevale su qualsiasi altro istinto naturale. Ebbene, a quella normalità, con buona verosimiglianza, non torneremo mai più. Ma poi, siamo davvero sicuri di voler ritornare proprio a quella apparente normalità? Prima del Covid-19 andava tutto bene? Non sarebbe meglio ricercare e programmare una rinnovata “normalità” socialmente ed economicamente più soddisfacente che, col tempo, ci consenta di uscire dal guado in cui ci troviamo oggi e ci trovavamo nel periodo ante Covid-19? Solo a questo, io credo, debbono lavorare oggi, ed in armonia, tutti i nostri rappresentanti politici. Sennò che li abbiamo votati a fare?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)
© Riproduzione riservata