Al di là dell'apparenza solo una deludente realtà
Sui "porti chiusi" esistono precisi parametri giuridici, che neppure la politica può ignorarePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Non passa giorno che la cronaca non riporti la notizia di nuovi sbarchi a mezzo barchini di circostanza. Solo ieri 15 algerini sono approdati indisturbati a Porto Pino e Teulada. Il fenomeno si manifesta quasi quotidianamente nella sua devastante consistenza ed il Paese, purtroppo, complice l'instabilità politica che lo caratterizza da diversi anni, si rivela sempre più incapace di gestirlo.
Ma è davvero tutta colpa dell’UE e di un piano ordito dai paesi in essa maggiormente accreditati a tutto discapito del bel paese? Oppure, in fondo in fondo, la responsabilità va cercata altrove?
La risposta è ricca di sfaccettature e, per certi versi, piuttosto deludente rispetto a quanto viene comunemente percepito dal sentire comune, costantemente influenzato da hashtag surreali che più che rappresentare la realtà sembrano diretti unicamente ad accentuare la costante e sterile diatriba tra la destra e la sinistra, ossia tra chi vorrebbe "porti chiusi" e "blocchi navali" e chi, invece, vorrebbe promuovere una politica di accoglienza indiscriminata.
È chiaro che qualsivoglia estremismo in quanto tale è dannoso di per se stesso ed improduttivo sul piano del risultato. Intanto, perché i "porti chiusi", come sottolineato più volte, non esistono, né possono esistere, giacchè, anche a voler prescindere in radice dal diritto di asilo sancito dalla nostra Costituzione oltre che da numerose convenzioni internazionali ratificate dall'Italia, esistono precisi parametri giuridici che neppure la politica può ignorare e/o violare, men che meno con decreti sicurezza del tutto inutili e fuorvianti la coscienza comune siccome contenenti norme di rango giuridico inferiore rispetto a quelle poste a tutela dei diritti umani destinate a prevalere sempre e comunque.
Quindi, perché neppure si può seriamente pensare di eliminare il problema ponendo in essere blocchi navali, i quali, per un verso, secondo quanto sancito dall'art. 3, lettera c) della Risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite 3314/1974, costituiscono dei veri e propri atti di aggressione pur in assenza di una formale dichiarazione di guerra e, per altro verso, sarebbero comunque inutili come dimostrato dall'esperienza italiana del 1997 allorquando, con il centrosinistra al governo, Presidente del Consiglio Prodi, si attuò un blocco navale verso l'Algeria mascherato sotto le mentite spoglie di un contenimento del traffico clandestino, condannato dall'Onu, e risoltosi in una vera e propria tragedia sul piano umano con la morte di circa ottanta persone la cui imbarcazione era stata speronata da una corvetta della Marina Militare.
Infine, perché, all'opposto, neppure può acconsentirsi ad una politica di accoglienza indiscriminata dei clandestini, siccome, comprensibilmente, essa comporterebbe importanti conseguenze di carattere economico che peserebbero in maniera consistente sull'economia del paese ospite, nel caso di specie l'Italia, ove, soprattutto negli ultimi tempi abbiamo assistito a paradossi inaccettabili derivanti da quelle che vengono comunemente definite "discriminazioni alla rovescia", consistenti nell'attribuzione ai cc.dd. clandestini di alloggi e privilegi negati agli autoctoni che versino parimenti in difficoltà. Ed allora, stando così le cose, perché i protagonisti tutti del panorama politico continuano ad invocare soluzioni inattuabili e/o dannose per il Paese? Perché, per tornare alla domanda iniziale, si tende a far gravare sul sistema europeo, la mancanza, sul piano interno, di un sistema politico del fare che all'azione concreta preferisce il "proclamo" di piazza sempre più orientato ad acuire il problema piuttosto che a risolverlo?
La verità unica e sola è che tutto ruota intorno alla riforma del Regolamento di Dublino la quale vede fermamente contrapposti il Parlamento Europeo ed il Consiglio d'Europa, del quale ultimo fanno parte i cosiddetti Paesi sovranisti di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) alleati in Europa della Lega e quindi dell'ex Ministro dell'Interno Salvini, e unici fermi oppositori della riforma medesima. Contrariamente a quanto si sarebbe indotti a ritenere, a differenza del Parlamento Europeo, favorevole alla modifica di quel regolamento ed alla introduzione del meccanismo del ricollocamento automatico in tutta Europa dei migranti che sbarchino in Italia come paese di primo approdo, sono proprio questi Paesi Visegrad che, nella colpevole indifferenza della Lega, manifestano la più ferma opposizione alla revisione proprio di quella regola che intrappola ed imbriglia l'Italia, e la cui modifica ci libererebbe definitivamente da un onere ingiusto.
A dispetto di quanto lasciato intendere, infatti, proprio la Lega si è fatta lecita non solo di non presenziare alle 22 riunioni indette per rinegoziare il regolamento ridetto, ma anche di astenersi, sorprendentemente, rispetto al voto sulla cancellazione del criterio dell'obbligo di permanenza nel paese di primo ingresso e di sostituzione dello stesso con l'introduzione, appunto, del sistema di ricollocamento automatico tra tutti gli Stati. Ma allora Salvini cosa gridava a fare nelle piazze di tutta Italia se per non andare contro i Paesi di Visegrad contribuiva ad affossare il proprio?
È evidente, infatti, che il ricollocamento attuato negli ultimi tempi ed accettato da taluni paesi europei, più che essere frutto della politica dei porti chiusi, risponde invece ad un preciso orientamento già presente in seno al Parlamento Europeo. Alla fine della fiera, in questo mare di contraddizioni, siamo sempre noi italiani ad essere "cornuti e mazziati" e a pagare il prezzo di una "non politica" perpetrata, sembrerebbe, per salvaguardare interessi di chissà chi ma che nulla hanno a che vedere con i nostri. Basta coi falsi profeti: vogliamo politici competenti e moderati che facciano l'interesse dell'Italia.
Giuseppina Di Salvatore
(avvocato - Nuoro)