Selargius, la discarica vergogna di Stato
L’aria è irrespirabile. Il cancello è solo virtuale. L’immaginario suggerisce che quell’area è off-limits. Una barriera mentale impone di stare alla larga. Ci arrivano ogni tanto solo i vigili del fuoco quando le fiamme trasformano in diossina ogni maledizione venuta in terra, o meglio raccattata di qua e di là con furti e razzie di ogni genere. Un vero inferno alle porte di Cagliari, nelle terre agricole della città che si fa chiamare metropolitana. Quando varchi quel “cancello che non c’è”, in quest’area che tutti chiamano “campo nomadi”, ti rendi conto che qui lo Stato non esiste. La mappa è chiara, nonostante la foschia: sull’orizzonte la Sella del Diavolo, a ridosso i terreni del grande esproprio di Stato.
Crocevia di Selargius
Tutto si consuma a meno di quattrocento passi dal crocevia della speculazione, sulla strada del Gerrei, nell’agro di Selargius, divenuto terra di conquista per potentati dell’energia finanziaria, quella che fa soldi a palate sulla testa della Sardegna e dei sardi. È qui che nei prossimi giorni lo Stato dispiegherà ancora una volta la “potenza di fuoco” a difesa del grande affare del “cavo-guinzaglio”, quello che Terna, il braccio elettrico di Roma, vuole costruire per trasferire in Sicilia e Campania, l’energia eolica e fotovoltaica che i più incalliti speculatori vogliono macinare in terra di Sardegna.
Poteri forti e deboli
È una storia tutta italiana, tra poteri forti e poveri contadini, tra cittadini indignati dalla speculazione devastante che incombe sulle proprie teste e lo Stato che schiera tutta la sua imponenza per fermare i deboli e proteggere i forti. Si potrebbe sintetizzare: forte con i deboli, debole con i forti. Qui, in quest’agro trasformato in campo di battaglia, si gioca l’ultimo assedio per tentare di fermare un’opera mastodontica che i potentati dell’energia vogliono a tutti i costi. Nei giorni scorsi non c’è stata storia: decine di mezzi blindati, tenuta antisommossa, persino gli idrogetti pronti da usare per disperdere gli agricoltori di Selargius, trattati alla stregua di pericolosi black-block. Non è successo niente, non poteva esserci resistenza. Sono arrivati con ruspe e mezzi pesanti per radere al suolo ulivi e presidi, in un attimo hanno srotolato centinaia di metri di rete come se dovessero blindare militarmente un altro pezzo di Sardegna, sempre al servizio delle multinazionali.
Altra terra da strappare
Hanno urlato, gli agricoltori e i presidianti, ma nulla hanno potuto davanti a quello schieramento militare, invasivo e senza appello. Nei prossimi giorni, da mercoledì in poi, le scene si potrebbero ripetere: gli espropri di Stato non sono finiti, c’è da togliere altra terra ad altri cittadini e contadini. Nessuna istituzione, ovviamente, si occupa di fermare un’opera che niente servirà alla Sardegna, ma avrà un solo obiettivo: consentire di trasferire l’energia eolica e fotovoltaica nel Continente. Un investimento, se così si può definire, da 3,7 miliardi, da far pagare anche ai cittadini sardi attraverso gli oneri di sistema da “caricare” sulle bollette elettriche. Peccato, però, che, secondo i report riservati, di quella energia “rinnovabile” quasi il 50% si disperderà nei fondali marini.
Prossimità con l’inferno
Un cavo sottomarino, va detto senza sotterfugi, in totale contrasto con le norme europee che impongono l’utilizzo dell’energia solare ed eolica in “prossimità” ai luoghi in cui si produce. La Sardegna, in realtà, è tutto fuorché in “prossimità” della Sicilia o della Campania. Qui, in “prossimità” con il terminale del Tyrrhenian Link, c’è solo l’inferno. Quando varchiamo il check-point di questo campo “stanziale” da decenni, nessuno ti chiede i documenti, si limitano a scrutarti dall’alto per capire chi osa infilarsi in quella giungla di illegalità e veleni, inquinamento e impunità conclamata.
Sistema malaffare
I fotogrammi d’ingresso sono la cronaca vietata di un saccheggio che diventa “sistema”, dove è difficile immaginare furtarelli e bracieri che ardono. La scansione che scorre davanti all’obiettivo che imprigiona le prove non lascia adito a dubbi: è una catena di smontaggio da far impallidire le peggiori organizzazioni di riciclaggio. Le quattro ruote arrancano sulla strada sterrata, con un cimitero di carcasse d’auto prima svuotate da mani “criminali” e poi affidate alle cure del fuoco, quello che cancella impronte digitali e numeri di serie. A differenza di quegli espropri di pubblica utilità, eseguiti qualche giorno fa con schieramento militare a favore di Terna e compagni, qui ogni ordinanza è carta straccia. Il cumulo delle auto devastate senza tregua è scaraventato per ettari di terra, impregnata ormai di ogni genere di acidi e veleni, come l’aria putrida che staziona perennemente su questo vecchio inceneritore.
Lo Stato non esiste
Qui tutto sembra aver imbrigliato per sempre quell’acre tanfo del malaffare che brucia da anni impunemente sul “tetto” di Selargius e dintorni. Nei prossimi giorni, nel crocevia dell’agro di Selargius, lo schieramento, sarà ancora una volta militare. Da strappare c’è l’ultimo pezzo di terra per gli affari elettrici delle lobby energetiche in terra sarda. Nell’inferno di veleni e inquinamento, però, non succederà niente. In questo lembo di Sardegna, ai confini con la speculazione, lo Stato non esiste.