Carolina Bianchi, una riflessione epica sulla violenza e il male

29 luglio 2025 alle 12:50
Venezia, 29 lug. (askanews) - Uno spettacolo duro, lungo, letterario, a tratti devastante, incentrato sul tema della violenza. In sostanza una delle cose migliori che si possano vedere oggi su un palcoscenico. Carolina Bianchi, artista brasiliana che sperimenta i confini della danza e del teatro, ha portato alla Biennale Danza di Venezia, dove è stata premiata con il Leone d'Argento dell'edizione 2025, il secondo capitolo della trilogia "Cadela Força", intitolato "The Brotherhood"."Per me l'idea di questa trilogia - ha detto Bianchi ad askanews - ha anche a che fare con il tempo di cui abbiamo bisogno per entrare realmente nelle tematiche che affronto, quindi non è qualcosa che posso fare molto rapidamente. Mi devo calare dentro i problemi, devo stare nella loro problematicità. Per questo per me la trilogia si collega in qualche modo alla Divina Commedia di Dante, perché l'autore si addentra in questa selva oscura della creazione e ci porta a conoscere il male, ma si tratta di luoghi nei quali incontriamo anche la meraviglia. Quindi per me questa trilogia nasce dal desiderio di affrontare domande ed enigmi nella storia dell'arte e della violenza, in particolare la violenza sessuale".Al centro della pratica di Carolina Bianchi c'è la riflessione sullo stupro, che i codici di questa "fratellanza" continuano a perpetuare come forma di dominazione. Ma delimitare in definizioni la potenza del suo lavoro è riduttivo, e sbagliato. Sul palco del Teatro Piccolo Arsenale vediamo andare in scena un'opera epica, ambigua, che svela il male e la sua presenza in ognuno, a partire da lei stessa e dal suo personaggio."Per me - ha aggiunto Carolina Bianchi - è impossibile distaccarmi dal male. Addentrarmi nella selva oscura è un'operazione estremamente complessa e io posso solo essere tutt'uno con la complessità e immergimi completamente in essa con il mio corpo. Non mi tiro fuori, sono parte anche io del sistema e come tale devo pensare a tutte le questioni legate a questa violenza, a questo processo di violenza".Lo spettacolo, che ha una forza monumentale difficile da spiegare, è anche intriso di letteratura e in particolare di rimandi al romanzo "2666" di Roberto Bolano, capolavoro di immersione nel male. Che culminano nell'intervista sul palco con il regista Klaus Haas, personaggio tratto dal libro dello scrittore cileno. Nonché momento chiave di tutta la messa in scena. "La mia presenza lì - ha concluso Carolina Bianchi - serve per aprire una conversazione e poi lasciare che questa riveli le sue contraddizioni, che riveli il suo livello di violenza. Non in modo moralista, ma confusa dalla sua seduzione, dalla sua nozione di potere, perché questa è la sua realtà alla fine". Dopo 220 minuti di performance, impossibili da riassumere, si esce dal teatro con la consapevolezza di avere assistito a qualcosa di importante, alla creazione di una mitologia, come recita lo stesso titolo della Biennale Danza. (Leonardo Merlini)