Il dibattito

Meloni ora guarda alla legge elettorale 

In attesa del referendum sulla Giustizia, maggioranza divisa sul testo  

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Accelerare, e presentare un testo già a inizio anno, una volta chiusa la legge di Bilancio e prima del referendum sulla separazione delle carriere. Per poi chiudere una volta incassato il sì alla riforma della Giustizia. O prendere più tempo, per cercare consensi anche tra le file delle opposizioni che al momento oppongono, in pubblico e in privato, un secco no alla revisione delle regole del voto. Sono le due opzioni sul tavolo di Giorgia Meloni, fermo restando che la questione legge elettorale è sul tavolo e la maggioranza ha tutta l'intenzione di affrontarla. Ma al momento non sarebbe ancora maturata una decisione sulla presentazione di un testo in Parlamento, e i dubbi sul timing ci sarebbero anche tra gli alleati.

La riforma

Mentre finisce in archivio la lunga tornata di regionali d’autunno, ciascuno legge e difende l’esito delle urne. Ma l’altra questione che tiene banco nei capannelli in Transatlantico però è la legge elettorale. Le opposizioni, forti delle vittorie del campo progressista unito, ora hanno interesse meno che mai a intavolare una trattativa, è la convinzione che circola anche nel centrodestra. «Perché dovrebbero aiutarci?», uno dei ragionamenti che si fa tra gli esponenti della maggioranza, riferendosi al nodo dei collegi uninominali, che sarebbero superati con la riforma che hanno in mente Meloni e i suoi. «Indubbiamente è vero che c'era questa divisione tra chi oggi indubbiamente è unito», è il gioco di parole del presidente dei senatori di Fdi, Lucio Malan, che conferma il proporzionale come via per modificare la legge elettorale, con un «premio di maggioranza» come una delle ipotesi sul tavolo. Lo schema non dispiace nemmeno a Forza Italia, come ribadisce il portavoce azzurro Raffaele Nevi. Il suo partito però, puntualizza, resta «affezionato al metodo attuale e cioè chi prende più voti va a fare il presidente del Consiglio».

Il centrosinistra

Il Campo largo è tornato un po’ al punto di partenza, col Pd che accelera per la coalizione e il M5s che va più cauto. Il dato portato a casa con le regionali non è da poco: l'Istituto Cattaneo ha rilevato un «sostanziale equilibrio tra centrodestra e centrosinistra». Ma non tutti hanno fretta di mettersi allo stesso tavolo. O meglio: ne avrebbe molta Elly Schlein: «Siamo pronti da domani a consolidare il progetto per l'Italia - ha detto - con tutte le forze della coalizione progressista». Non ne ha troppa Giuseppe Conte, che prima vuol aprire un «cantiere del M5s per il programma», per definire le proposte da presentare poi «al campo progressista». Insomma, altro che domani: se va bene, del confronto fra i leader del Campo largo se ne parla a gennaio.

Insieme a Schlein, a metter fretta a Conte c'è Avs: «C'è la necessità di cominciare a confrontarsi», ha detto Nicola Fratoianni. «Guardiamo al lato positivo - scherzava un big del Pd - Conte ha parlato di campo progressista per il governo», quindi di un'alleanza stabile, non più solo per le Regioni.

L'analisi di Schlein è semplice: «La linea testardamente unitaria porta i suoi frutti. Dopo queste 13 regioni al voto, le coalizioni sono in parità. La stessa cosa si potrebbe dire con i voti delle europee. Siamo in partita, vogliamo vincere, siamo pronti ad andare al governo, vincendo le politiche».

Per cementare il Campo largo, la segretaria Pd vorrebbe sfruttare l’entusiasmo dei successi di Roberto Fico in Campania e di Antonio Decaro in Puglia, un esponente del M5s e uno del Pd. Ma Conte deve vedersela con un Movimento che ha logiche e dinamiche tutte particolari.

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