«Quando uno non ci riesce vuol dire che non ci ha provato bene. Chi si vuole suicidare, si suicida. Come sta mio figlio? Non lo so, non ci parlo. Non parlo con lui, non parlo con l’avvocato di mio figlio e non parlo con il padre di mio figlio»: Nicolina Ragnedda, anche ieri, come aveva fatto nel primo sopralluogo del Ris a Conca Entosa, si è messa sulla scia dei Carabinieri e ha parlato nel porticciolo di Cannigione. Mentre i militari cercavano reperti utili per le indagini sulla morte di Cinzia Pinna, lei ha di nuovo smentito il figlio Emanuele Ragnedda e il marito Mario: «Non credo alla difesa da una aggressione. Non ci credo. Saranno gli inquirenti a dire cosa è successo. Ma io personalmente non ci credo. Mio figlio avrebbe dovuto assumersi subito le sue responsabilità. Non doveva andarsene in giro, avrebbe dovuto chiamare subito il 112. Se fosse successo a me avrei chiamato il 112. Non credo al panico, non credo a queste cose».
«No al Riesame»
Nicolina Giagheddu ha scavato un solco ancora più profondo tra lei e il figlio, tra lei e il marito. Ieri la madre di Emanuele Ragnedda ha saputo che il difensore dell’uomo, l’avvocato Luca Montella, ha presentato un ricorso al Tribunale del Riesame, contro l’ordinanza di custodia cautelare della gip Marcella Pinna. Un atto che ha un significato di natura tecnico procedurale, con una istanza di questo tipo, infatti, la difesa può avere accesso a tutti gli atti del fascicolo e può dispiegare la sua strategia con maggiore efficacia. Nicolina Ragnedda però ha preso malissimo l’istanza: «Sono contraria a questa richiesta. Chi non lo sarebbe?».
Ragnedda nullatenente
Sempre ieri la donna ha detto davanti alla barca Nikitai: «Quello che vedete non è tutto di Emanuele, come sembra questi giorni, ma è della famiglia. Questa è casa mia». In effetti Nicolina Ragnedda ha detto la sacrosanta verità. La tenuta di Conca Entosa è sua, tanto è vero che è stata lei in qualità di proprietaria a presentare (tramite l’avvocata Ezia Orecchioni) e ottenere il permesso per la cura delle arnie nella tenuta agricola. Inoltre non sono intestati a Emanuele Ragnedda barca, auto, appartamenti in uso e altri beni del patrimonio della famiglia arzachenese. L’uomo che ha ucciso Cinzia Pinna è quasi un nullatenente.
Lo yacht
Ieri i militari del Ris sono saliti sullo yacht della famiglia Ragnedda, nel porticciolo di Cannigione, per cercare tracce ematiche e prove della presenza di Emanuele nei giorni tra il 12 e il 22 settembre. A bordo sono saliti anche l’avvocato Luca Montella, la legale di parte civile, Antonella Cuccureddu e i difensori di Luca Franciosi (indagato per favoreggiamento), gli avvocati Maurizio e Nicoletta Mani. Il personale specializzato dell’Arma, coordinato dalla pm Noemi Mancini, ha repertato diversi oggetti. Nicolina Ragnedda, sul pontile, ha spiegato: «Nella barca sono salite diverse persone, forse una quarantina nelle ultime settimane». I sopralluoghi a Conca Entosa sono finiti, i Carabinieri del Ris hanno trovato tracce ematiche ovunque, anche all’esterno. Come aveva detto Emanuele Ragnedda, i bossoli dei colpi esplosi dalla Glock dell’uomo, tre, sono stati trovati per terra e repertati.
Dimesso
Ieri mattina l’imprenditore di Arzachena accusato di avere freddato Cinzia Pinna, è stato dimesso dal reparto di Psichiatria dell’ospedale di Sassari. Dopo il tentativo di suicidio è tornato nel carcere di Bancali. Come ha chiesto il suo legale, sarà sottoposto a misure di sorveglianza speciali, anche all’interno della sua stessa cella.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati
Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.
• Accedi agli articoli premium
• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi