Capoterra.

«La festa triste di chi non ha un pasto» 

Don Locci: alcuni concittadini sono in difficoltà ma si vergognano 

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È il giorno in cui si aprono le celebrazioni di Natale. Le case si preparano ad accogliere chi studia o lavora lontano, le tavole iniziano a riempirsi, i cenoni prendono forma tra tradizione e attesa. Ma accanto alle luci accese e alle sedie che tornano a occupare il loro posto, c’è anche il rovescio della medaglia: tavole che restano spoglie e famiglie che questo Natale non avranno un pranzo da condividere, né la serenità per farlo. A Capoterra, don Gianni Locci, parroco di Sant’Efisio e direttore della Caritas, racconta una comunità capace di slanci di solidarietà fuori dal comune, ma segnata allo stesso tempo da un fenomeno silenzioso e profondo: l’imbarazzo di chi ha bisogno.

Il dato

Il quadro emerge con chiarezza anche dai numeri. Il 20° report di Caritas Sardegna, presentato a novembre 2025 e basato sui dati Istat più recenti, fotografa una situazione in peggioramento: in un solo anno la percentuale di famiglie in povertà relativa nell’isola è passata dal 15,9% del 2023 al 17,3% del 2024. In termini assoluti, circa 128 mila famiglie sarde si trovano oggi in difficoltà, diecimila in più rispetto all’anno precedente. Numeri che confermano una tendenza, ma che non raccontano tutto. «La Caritas è una realtà uguale dal primo gennaio al trentuno dicembre: per chi ha più bisogno ogni giornata è uguale, non esistono feste», spiega don Gianni. Accanto alla crescita del disagio economico, emerge infatti un altro ostacolo: la difficoltà a chiedere aiuto. «Per via di chi in passato ha approfittato del volontariato, oggi anche questo mondo si è burocratizzato troppo. E c’è chi si ferma davanti a questo, rinuncia prima ancora di arrivare».

La comunità

A Capoterra la solidarietà resta comunque una costante. Lo si capisce anche dal fatto che a don Gianni riesce difficile isolare una sola storia, una sola immagine simbolo di questi anni. Non perché manchino i racconti, ma perché il bisogno ha molte facce e si ripete, giorno dopo giorno, con tratti spesso simili «La maggior parte delle persone che arrivano alla Caritas proviene dal Nord Africa, ma ci sono anche tanti capoterresi», racconta. Ed è proprio la dimensione del paese a rendere tutto più complicato. «La mensa per i poveri non ha mai attecchito. Si vergognano. Nelle grandi città, quando giri l’angolo sei uno sconosciuto. Qui no». Qui ci si conosce, e chiedere aiuto significa esporsi. Eppure, quando la comunità sente il bisogno di stringersi, la risposta arriva. «Con l’accoglienza degli ucraini siamo stati sommersi dalla generosità dei cittadini: materassi, lenzuola, asciugamani, saponi. Abbiamo dovuto mettere un limite». Un impegno che continua anche nel quotidiano: «Ogni domenica, a turno, le classi del catechismo portano generi alimentari per la Caritas». L’augurio per l’anno che verrà nasce da qui. «Bisogna essere cristiani dalla domenica al sabato: questo è lo slogan che ci accompagna», conclude don Gianni. «Dobbiamo esserci, anche stancarci, e ricordarci sempre perché facciamo del bene».

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