Doha. Dopo giorni di silenzio, Hamas esce allo scoperto e afferma che Khalil Hayya, capo negoziatore e uno dei leader di spicco dell’organizzazione palestinese, non è morto nel raid israeliano a Doha, dove sono invece stati uccisi il figlio, alcune guardie del corpo e un poliziotto qatarino. Senza fornire alcuna prova o fotografia, Hamas ha affermato che Hayya «è vivo» ed ha partecipato in Qatar a una preghiera funebre per il figlio e per gli altri uccisi nel bombardamento del 9 settembre.
Lo scenario
Un primo segnale su una vicenda la cui dinamica resta tutta da chiarire. Ma che sta surriscaldando il clima tra i Paesi del Golfo e gli alleati. Mentre gli Emirati hanno convocato l'ambasciatore israeliano e le diplomazie del Golfo si preparano al vertice di domani e lunedì, anche dall’Egitto arrivano notizie - per ora solo dei media - di una certa freddezza verso il governo Netanyahu: Il Cairo avrebbe deciso per protesta di ridurre i contatti di coordinamento con Israele dopo i fatti di Doha, riferisce la tv panarabo-saudita al Arabiya citando non meglio precisate fonti governative. Hamas ribadisce intanto che intende continuare a resistere all'occupazione israeliana perché le sue richieste negoziali - il pieno ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia e la ricostruzione del territorio distrutto - non sono state prese in considerazione.
Striscia di sangue
Nella Striscia continua nel frattempo l'offensiva israeliana - si registrano una sessantina di uccisi, 14 dei quali membri di una stessa famiglia - e vicino a Gerusalemme un palestinese ha ferito con un coltello due persone. Un attacco che secondo Hamas è «una risposta naturale ai crimini israeliani». In questo contesto, il primo ministro del Qatar, Muhammad Al Thani, è volato a Washington dove ha incontrato il segretario di Stato Marc Rubio per tentare di ricucire gli stretti rapporti dopo l'attacco israeliano. E potrebbe riceverlo anche il presidente Donald Trump, anticipa Axios. Proprio Rubio partirà nelle prossime ore alla volta di Israele, in una missione per rassicurare il premier Benjamin Netanyahu del sostegno degli Stati Uniti in vista dell'imminente riconoscimento dello Stato palestinese da parte di diversi paesi, tra cui la Francia, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
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