La prima fase dell'accordo su Gaza procede senza intoppi ed anzi potrebbe esserci un'accelerazione. Dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco e il parziale ritiro dell'Idf, gli israeliani hanno iniziato a spostare i detenuti palestinesi con lunghe condanne da scambiare con i 48 ostaggi, che dovrebbero essere rilasciati da Hamas tra stanotte e domani mattina. In tempo per l'arrivo in Israele di Donald Trump e per la firma ufficiale dell'intesa domani a Sharm el-Sheikh, in Egitto. La cerimonia all'International Convention Center sarà presieduta da Abdel Fattah al-Sisi con Trump: assenti Netanyahu e i rappresentanti di Hamas, ci saranno invece i vari leader europei, compresa Giorgia Meloni.
Pronti allo scambio
Le autorità israeliane, a tregua in vigore, hanno radunato in due prigioni i circa 250 "detenuti per la sicurezza", inclusi cioè gli ergastolani, che saranno parte dello scambio. Nel frattempo anche Hamas sta radunando gli ostaggi israeliani che dovrebbero essere consegnati entro domani a mezzogiorno ma lo scambio potrebbe avvenire diverse ore prima. Nel frattempo, a Gaza, prosegue il flusso di ritorno dei palestinesi fuggiti dai combattimenti, che rientrano a Gaza City e Khan Younis per verificare le condizioni delle loro case, per lo più distrutte, mentre prosegue la ricerca di corpi tra le macerie. Il segnale positivo è che l'Onu potrà riprendere a consegnare gli aiuti umanitari: 170mila tonnellate che sono già state posizionate in Giordania ed Egitto.
Nello Stato ebraico monta l'attesa per il ritorno a casa dei rapiti. «Il vostro coraggio ha fatto il miracolo», ha detto l'inviato Usa Steve Witkoff parlando ieri di fronte ad una piazza degli ostaggi di Tev Aviv gremita di centinaia di migliaia di persone, accanto a Jared Kushner e Ivanka Trump. Atmosfera calorosa rotta dai fischi durante un passaggio su Benyamin Netanyahu, che il funzionario americano ha comunque difeso: «Ha avuto un ruolo molto importante nell'accordo». Una volta concluso lo scambio dei prigionieri, si potrà passare alla seconda fase dell'accordo di pace, che tuttavia sarà molto più complicata da attuare. Lo ha fatto intendere Hamas a proposito di uno dei punti più controversi del piano, ossia il suo disarmo. «È fuori questione, non è negoziabile», ha fatto sapere una fonte anonima del movimento.
Sharm el-Sheikh
Intanto fervono i preparativi per la firma di domani in Egitto. Garantire una legittimazione internazionale all'accordo di pace, così che nessuna delle parti in causa possa tornare indietro, è lo scopo principale con cui il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si prepara ad accogliere numerosi leader mondiali a Sharm el-Sheikh. Dove, al di là della cerimonia, dovrebbe essere previsto un momento di confronto nell'ambito del summit. E al centro ci sono una serie di nodi complicati da più punti di vista per portare avanti le successive fasi dell'accordo. A partire dal disarmo di Hamas, che intanto ha richiamato circa settemila membri delle sue forze di sicurezza per riaffermare il controllo sulle aree di Gaza recentemente abbandonate dalle truppe israeliane. Lontano, ma già attuale nelle trattative, lo scenario del Board per il governo transitorio della Striscia. Roma si aspetta un coinvolgimento, alla luce del ruolo di Paese dialogante con tutti rivendicato più volte in questi giorni da Giorgia Meloni. Si tratta però di una dinamica guidata da Usa, Israele e Arabia Saudita.
Ruolo italiano
In quest'ottica il governo italiano sta dando ampia disponibilità a partecipare «in prima linea» alla fase della ricostruzione di Gaza. Non solo dal punto di vista delle opere infrastrutturali necessarie in un territorio che ha subito perdite per 70 miliardi di dollari secondo stime palestinesi. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito la disponibilità del governo «a mandare i carabinieri e quelli che operano già a Gerico per la formazione della polizia palestinese, oppure i militari se sarà necessario». Un'altra ipotesi può essere il supporto del Genio militare dell'Esercito italiano per rimuovere mine terrestri e ordigni bellici a Gaza. Lo scenario, al momento, non è considerato idoneo a coinvolgere la Protezione civile. Ma si sta valutando la fattibilità di un piano per allestire ospedali da campo nella zona sud di Gaza, una soluzione già valutata tempo fa e accantonata per la mancanza di acqua pulita. Intanto Tajani ha prospettato investimenti per «50 milioni di euro subito» e l'invio di aiuti attraverso il progetto Food for Gaza «di altri beni alimentari. Poi parteciperemo alla ricostruzione in tanti servizi, anche nella sanità, forti dell'esperienza degli interventi post terremoto».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati
Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.
• Accedi agli articoli premium
• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi