sanità

«A 74 anni assisto ancora i miei pazienti, se tornassi al lavoro farei solo il burocrate»  

Antonio Cama, ogliastrino d’adozione: sbagliato riprendere servizio all’Asl 

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Sarebbe tra gli arruolabili, nonostante i suoi 74 anni. Un medico in pensione chiamato a turare le falle nello scafo di una navicella sanitaria pubblica che rischia di affondare in balia dei quattro venti. Il fatto è che Antonio Cama, Tony per tutti, di tornare a indossare il camice in convenzione con una Asl non ne vuole sapere.

Genovese nato a Buenos Aires da genitori emigrati, ex allievo dei salesiani di Sampierdarena, ogliastrino d’adozione per amore di un’infermiera di Lanusei da quarantaquattro anni, resta medico nel profondo ma non intende tornare alla professione attiva e a un ambulatorio con vista su migliaia di pazienti. «Sarei anche arruolabile», risponde, «ma non ho la minima intenzione di mortificarmi. Non si può delegare il medico a fare l'impiegato. È una delle ragioni per le quali ho deciso di andare in pensione. Ed è la stessa ragione che mi induce a non considerare minimamente l’ipotesi di tornare in servizio permanente effettivo».

Perché impiegato?

«Semplicissimo. Ormai il medico di medicina generale deve occuparsi non solo della salute dei suoi pazienti ma per la maggior parte del tempo del rilascio di certificazioni, documenti e dedicarsi a molteplici incombenze di natura amministrativa e non sanitaria».

Nel suo piccolo, però continua a lavorare.

«Ho un ambulatorio che pratica infiltrazioni di prp, plasma ricco di piastrine, con il collega Beppe Piras, ex primario ortopedico all’ospedale di Lanusei, e lavoro in privato una volta alla settimana. Faccio con piacere il medico sociale del Lanusei calcio da tanto tempo, a titolo assolutamente volontario. Mi chiamano spesso per andare a fare visita a miei ex pazienti, ma anche questo lo faccio gratis et amore Dei, credetemi. Bene, voglio continuare a fare questo, non l’impiegato».

Ha un suggerimento da dare affinché un medico di medicina generale torni a esercitare la sua vera missione, al netto delle incombenze burocratiche?

«I colleghi vanno liberati dalle incombenze che rendono il loro lavoro complicato. Per spiegarmi meglio ricostruisco la mia giornata tipo da medico di famiglia. La mattina visite in ambulatorio, il pomeriggio visite domiciliari, anche nelle residenze per anziani e nelle case di riposo. Al rientro a casa dovevo affrontare una sequenza interminabile di adempimenti burocratici che si sostanziavano in una valanga di certificati. In sostanza lavoravo anche per Inps e Inail, che dovrebbero avere - dico io - medici destinati a occuparsi di tutte queste cose. Posso avere il beneficio della sintesi: Inps e Inail dovrebbero uscire dai nostri ambulatori».

Lei sta tracciando l’affresco di una professione svilita.

«Eppure ci sarebbero gli strumenti per rivitalizzarla. Una sanità più efficiente e a misura di cittadino renderebbe più bella anche la nostra professione.»

Quanto è importante l’aggiornamento?

«Correggo. Quanto sarebbe importante se lo si facesse come dico io. Adesso la formazione si fa in ristorante, dopo i seminari promossi dalle case farmaceutiche. Invece la migliore palestra per un medico di medicina generale sarebbe l’ospedale. Mi spiego meglio: un collega che lavora sul campo dovrebbe avere l’opportunità di trascorrere giorni in ospedale. Un po’ in Medicina, un po’ in Nefrologia, un po’ in Rianimazione, un po’ in Chirurgia, tanto per fare alcuni esempi».

Entrando nello specifico, quali sarebbero i benefici?

«Il medico di base avrebbe un rapporto migliore, più immediato e proficuo con gli specialisti. E questo modo di lavorare a mio avviso ridurrebbe di molto il problema dei ricoveri impropri, che paralizzano gli ospedali e soprattutto i Pronto soccorso ».

Sempre meno medici. Cosa pensa delle facoltà a numero chiuso?

Il numero chiuso serve soltanto a favorire l’accesso alla professione dei medici graditi alle lobbies. Non è il metodo di selezione corretto. Per avere più medici, questa la mia idea, bisogna formare più medici. Leggete Codice Rosso, il libro di Milena Gabanelli e Simona Ravizza. Spiega come la sanità pubblica diventa un affare privato».

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