Don Milani rivive al Festival di Venezia e nel ricordo dell’ex magistrato Beniamino Deidda
Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Sarà presentato oggi alla 74a Mostra del Cinema "Barbiana 1965 - La lezione di Don Milani", il documentario realizzato da Alessandro D’Alessandro con i filmati girati da suo padre Angelo cinquant’anni fa, in occasione del processo che coinvolse il sacerdote fiorentino per aver difeso alcuni obiettori di coscienza, bollati come vili sulle pagine de "La Nazione" da un gruppo di cappellani militari.
Un documentario che è un omaggio all’esperienza coraggiosa e visionaria di Don Milani e un inedito spaccato della vita quotidiana a Barbiana, con la viva voce del sacerdote e il commento di chi come Don Ciotti quotidianamente si ispira al suo messaggio, e di chi l'ha conosciuto da vicino, come l'ex insegnante Adele Corradi e l'ex procuratore generale della Corte d’Appello di Firenze Beniamino Deidda.
E proprio il magistrato di origini sarde - ospite oggi della proiezione - ha condiviso con noi l'eredità indimenticabile di Don Lorenzo Milani.
Cosa racconta "Barbiana 1965"?
"È un documento unico, perché Don Lorenzo Milani non si è mai fatto riprendere da nessun altro regista, e il filmato lo mostra non solo mentre fa scuola, ma persino mentre dice la messa. Una cosa impensabile stando a come si rapportava con i giornalisti o col mondo del cinema. Poi la scelta del regista è stata quella di affiancare ai filmati d'archivio un mio commento per la parte giuridica, di Adele Corradi per quella scolastica - era l'unica insegnante ammessa dal sacerdote a Barbiana - e di Don Ciotti per la parte religiosa. La forza del documentario sta nell’autenticità, in quei trenta minuti di filmati che arrivano dopo esser stati sepolti per cinquant’anni e ci restituiscono la voce di Don Milani".
E che effetto le ha fatto risentire Don Milani?
"Beh, almeno per me riascoltare la sua voce, quell'asciuttezza e quella serietà mentre legge la famosa "Lettera ai giudici" è stata un'emozione difficile da governare. Non so quanto dica agli altri, ma rende benissimo il clima di questo posto sperduto tra i monti dove c’è un uomo che parla a quattro ragazzucci ma è come se parlasse al mondo".
A quando risale il suo incontro con la realtà di Barbiana e di Don Milani?
"Coincide purtroppo con gli ultimi mesi della sua vita, quelli della pubblicazione del suo libro "Lettera a una professoressa", il testo che per quelli della mia generazione è stato una folgorazione. E infatti partendo da quel libro mi sono convinto che il segno che Don Milani ha lasciato e le sue intuizioni non riguardino solo la scuola, ma che siano un vero e proprio metodo applicabile a molte realtà. A partire dalla politica".
Nel filmato Don Milani legge la famosa “Lettera ai giudici” e difende il principio dell’obiezione di coscienza. Può raccontarci la vicenda?
"Il tema dell’obiezione di coscienza fu soltanto un'occasione, lo spunto da cui partire per mettere finalmente a fuoco cento anni di storia italiana misurati col metro dell’obbedienza e dimostrare come l’obbedienza sia stata una grande sciagura, per tutti quei soldati che hanno obbedito a ordini di generali e politici che facevano i loro interessi e non quelli della gente comune. L’obbedienza ne esce non come virtù ma come la 'più grossa delle tentazioni', per dirla come Don Milani".
Cosa voleva dire Don Milani ai giudici che di lì a poco l’avrebbero processato?
"Nella lettera Don Milani dà una lettura evangelica dell’obiezione di coscienza, perché la storia della chiesa stessa può esser letta alla luce di una disobbedienza necessaria. Piuttosto, la “Lettera ai giudici” è un testo calibrato sulla Costituzione, un altro tema di fondo di Don Lorenzo. Tutta la sua lezione e la scuola di Barbiana non sono tanto misurate sul vangelo o sul catechismo, la confessione o l’educazione cattolica, ma sulla Costituzione. È un piano completamente laico".
Il suo fine era quello di educare prima di tutto dei buoni cittadini?
"Don Milani l’ha detto più volte, di non voler educare dei buoni cristiani, ma piuttosto dei buoni cittadini capaci di vedere i propri diritti, cittadini colti, ma di una cultura diversa da quella delle classi dominanti, e la Costituzione gli è sempre parsa la chiave per riaffermare quei diritti che contadini, montanari e operai allora non avevano".
Una scuola moderna?
"Una scuola, per dirla come lui, come quella “di un liberalaccio miscredente”, in cui l’educazione fosse civile e non religiosa".
Dopo la morte di Don Milani, insieme ai suoi ex allievi, lei è stato tra i fondatori del doposcuola di Calenzano...
"Sì, si chiamava scuola popolare di San Donato, la parrocchia di Calenzano in cui Don Lorenzo era stato vice-parroco, e noi abbiamo pensato di chiamarla così perché era diretta ai bambini meno fortunati, figli di genitori perlopiù analfabeti. E l’esperienza ha via via aggregato un numero crescente di persone, tante che era difficile tenerle tutte in una stanza, bambini, ragazzi e la sera gli adulti che venivano lì dopo il lavoro. Letture, lezioni e discussioni un po’ sulla falsariga della prima esperienza di Don Milani".
Come siete riusciti a tener vivo il suo metodo?
"Ma non siamo stati tanto noi a proseguire, è stata la forza del suo messaggio a durare, la sua novità, e i suoi ragazzi hanno conservato un marchio particolare, non perché siano di chissà quale cultura, ma perché hanno tutti una sorta di impronta: la concretezza, la semplicità, il rifiuto delle mode. In qualche modo la lezione stessa di Don Lorenzo ha tenuto in piedi la scuola".
La scuola di oggi ha ereditato qualcosa di quell’esperienza?
"Non c’è dubbio che da Barbiana sia nata una generazione nuova di insegnanti, sempre minoritaria rispetto alla grande massa, ma capace e diversa, anche senza bisogno di scimmiottare Don Milani, che non era imitabile, perché esperienze come la sua hanno bisogno di un contesto, e quello di Barbiana era irripetibile. E lui pure, come succede a tutti quelli che aprono una via, incompresi sulle prime, poi riscoperti, persino dalla chiesa".
Un po' in ritardo?
"Oggi la chiesa lo presenta come uno di cui non si può fare a meno, anche se ne ha fatto a meno per decenni. Qualcuno dice oggi che bisogna farlo santo, ma sono tutte cose molto lontane dal pensiero di Don Lorenzo, che tante volte aveva chiesto un riconoscimento alla chiesa, con polemiche talvolta violentissime. Non per niente è sempre stato più popolare tra i laici che tra gli ecclesiastici".
Una voce ancora attuale?
"Una delle voci più profetiche del ‘900 se dopo cinquant’anni siamo ancora qui a parlarne, la sua esperienza è così viva che continua a scuotere. Paradossalmente di lui ci sarebbe più bisogno ora che allora".
Proprio in questi giorni il caso del prete di Vicofaro Don Massimo Biancalani ha scatenato un vespaio citando una frase di Don Milani...
"Credo che in altri tempi sarebbe passato inosservato, far fare un bagno a delle persone non è certo una cosa straordinaria, ma nel tempo che viviamo perfino un atto così ordinario come la solidarietà fa discutere, per l’aria che tira in questo Paese in merito al tema dell’accoglienza. Ai tempi di Don Milani il diverso era il contadino o il montanaro, oggi è la categoria dei migranti, ed ecco che torna attuale il metodo di Don Milani e ha ragione don Biancalani a citarlo dicendo "sono loro il mio prossimo'".
Barbara Miccolupi