E insomma il Nobel per la Letteratura va all’ungherese László Krasznahorkai, con menzione d’onore per i giurati che hanno scritto correttamente il suo nome sulla scheda. Ma un po’ per via dell’incandescente situazione internazionale, un po’ perché ieri l’Ansa descriveva i libri di Krasznahorkai come «segnati dal vuoto e dalle attese», fra «sospensioni e ritorni e le dilanianti tensioni ambientate nella fangosa campagna ungherese», è facile immaginare che ad attirare l’attenzione del grande pubblico sarà soprattutto il Nobel per la Pace. Il guaio è che mentre queste righe prendono forma ancora il nome del vincitore non si conosce, mentre quando arriveranno in edicola sapremo già tutti se davvero se l’è aggiudicato Trump, che nei giorni scorsi aveva urlato un’ottantina di volte di volerlo.

Nel caso, sarebbe il caso di applaudire. Intanto perché parliamo del pacificatore che ha evitato l’invasione della Groenlandia con un semplice sforzo di volontà (si è trattenuto) e piuttosto che fare la guerra ad altre nazioni si sta preparando a invadere l’Oregon e Chicago con la guardia nazionale. Ma soprattutto perché se non gli danno la medaglietta per aver tirato il guinzaglio a Netanyahu, è capace di offendersi e lasciargli massacrare gente per altri due anni, mentre lui se ne va imbronciato a giocare a golf (meglio di chiunque, sia chiaro).

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