La Messa beat
Caffè Scorretto
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I
l sociologo Luca Diotallevi nell’azzeccatissimo titolo di un suo libro, “La messa sbiadita”, fotografa la presenza dei giovani tra i 18 e i 24 anni nella messa della domenica al di sotto del 10 per cento. Per tentare di ritrovare la rotta bisogna risalire agli anni 60 quando una parte del popolo di Dio per ravvivare le parrocchie aprì le chiese alle musiche liturgiche eseguite con batterie, pianole, chitarre e canti da giovani dai lunghi capelli e jeans sbrindellati; tra questi “I Barritas” di Benito Urgu. La scommessa, nonostante le polemiche, centrò l’obiettivo: oratori vivaci e messe di nuovo affollate. Il cardinale Angelo Maria Dell’acqua fu tra i primi a capire il bello di quei ragazzi che cantavano l’amore e la pace tanto da chiedere al Papa di aprire la cattedrale di Roma. Il “de profundis” dei potenti curiali prevalse e la decisione di Paolo VI di salvare solo le chitarre e le pianole non convinse i giovani che abbandonarono le chiese. Il cardinale Zuppi, dialogando sulla speranza, ha confessato di “aver avuto molta passione per la cosiddetta Messa Beat. Se tutte le parrocchie diventassero luoghi dove permettere la creatività ci ritroveremo e faremmo qualcosa di bello per tutti”. Di quella stagione restano ricordi e rimpianti, don Matteo Zuppi indica un nuovo progetto: glorificare il divino senza obbligatoriamente cantare in latino.