L a pandemia - si sa - ha cambiato radicalmente molte nostre abitudini. E spesso è stato detto che, tutto sommato, questo evento senza precedenti dal secondo dopoguerra ci avrebbe aiutato a essere persone migliori. A essere più rispettosi gli uni degli altri, a prendere con un pizzico in meno di frenesia la nostra vita, dopo aver scoperto che l'umanità può essere fragile di fronte a un nemico invisibile. In molti c'era anche la speranza che i toni bassi usati dai nostri politici durante la fase più acuta della crisi sarebbero poi proseguiti anche in tempi - per così dire - normali. E così quando il pentastellato Alessandro Di Battista è ricomparso sulla scena politica, in molti speravano che potesse essere uno spunto di dibattito. In effetti è stato così. Matteo Renzi ha colto la palla al balzo: «All'estero non pagano Di Battista per sentire quello che dice. Anzi, forse lo pagano per stare zitto». A ruota ecco l'ex ministro Carlo Calenda: «Un Paese che perde tempo appresso a Di Battista, che elegge o dà voce politica a persone come Di Battista, che in un Paese normale gli darebbero una zappa in mano e un calcio nel sedere, è destinato a scomparire». È la politica del dopo Covid. Che assomiglia maledettamente a quella di prima.

IVAN PAONE
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