C entro di Cagliari, scampanellata a metà di una mattina feriale: «Salve, sono Matteo Salvini. Mi dicono che lei spaccia». La signora resta interdetta, poi la voce al citofono prosegue: «No, scherzo: sono il corriere, c'è un pacco da ritirare. Scusi, mi sono permesso perché mi sa che la pensiamo più o meno allo stesso modo...».

E va bene: la signora esce, sorride, firma e rientra in casa col pacco sottobraccio e un piccolo aneddoto da raccontare. Ma magari quel «mi sa che la pensiamo allo stesso modo» può meritare un pensiero in più. Un tempo non era chiaro se la persona a cui consegnavi i pacchi - o che te li portava - era democristiana o radicale o del Psdi. Ora si capisce tutto e subito, o quasi. Perché, sull'esempio americano, ci stiamo polarizzando. E ci guardiamo l'un l'altro come smidollati amici di Merkel e del migrante invasor ovvero come fascisti sfigati nemici della Costituzione e del Congiuntivo. E il tutto senza bisogno di parlare: a naso.

Si può dire che sono i leader - in tv, sui social - a spingerci alla tribalizzazione. Può darsi. Oppure può darsi che i leader ci provino da decenni ma finora siamo stati tutti troppo ironici, troppo smagati, troppo sazi o troppo italiani per cascarci, o per averne voglia. Però ora sta succedendo: ci si riconosce a fiuto. Di solito non è una cosa buona.

CELESTINO TABASSO
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