Ha documentato, in diretta, minuto per minuto, l'orrore degli attentati di Parigi del 2015. Oggi, quotidianamente, racconta la multiforme America dell'era Trump.

Lei è Giovanna Pancheri, corrispondente di Sky Tg 24.

Nata a Roma nel 1980, nel 2017 ha anche pubblicato il suo primo libro, "Il buio su Parigi" (Rubbettino), dedicato proprio alla sua esperienza sul campo durante i giorni più neri per la Francia - e l'Europa - dal Dopoguerra.

L’UnioneSarda.it l’ha intervistata per fare il punto della situazione su temi caldi d’Oltreoceano, dalla richiesta di impeachment che ha travolto The Donald ai rapporti tra Washington e Roma, passando, ovviamente, per la campagna elettorale che deciderà chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca.

(Convenzione imporrebbe il lei, ma tra colleghi usa il tu).

Partiamo dall’impeachment. Quasi certamente, alla fine del processo, Trump non sarà incriminato. Ma l’indagine sarà in grado di danneggiarlo davvero?

“Molto dipenderà dai prossimi giorni e da quanto compatti sapranno essere i repubblicani. Con 4 voti dissidenti potrebbero essere ammesse altre testimonianze, in particolare quella dell’ex consigliere nazionale alla sicurezza John Bolton. Se così fosse, se i repubblicani si spaccheranno, le cose potrebbero ravvivarsi...”.

In che senso?

“Nel senso che i democratici avranno nuovi argomenti per passare all’attacco. Trump ovviamente spera nella compattezza dei repubblicani per evitare di arrivare al 4 febbraio, giorno in cui riferirà alla nazione sullo stato dell’Unione, con l'inchiesta e il processo che gli pendono ancora sulla testa”.

Quindi, anche se si mostra sempre tranquillo e sereno, in qualche modo gli pesa essere sotto indagine?

“Credo proprio di sì. È inevitabile che senta la ‘macchia’ di essere uno dei pochi presidenti Usa ad essere finito sotto inchiesta. Anche se, in chiave elettorale, alla fine la vicenda non sposterà più di tanto voti”.

Non li sposterà?

“Non in maniera decisiva. Secondo me gli americani hanno già la loro idea. L’inchiesta, caso mai, ha solo esacerbato la divisione tra i fautori di Trump e i suoi detrattori. Chi è con lui ha rafforzato la sua convinzione, chi è contro di lui ha trovato nuovi argomenti per attaccarlo. Insomma, si sta solo cristallizzando la spaccatura che attraversa il Paese. Una spaccatura da cui, tra l’altro, Trump è riuscito a trarre più linfa rispetto agli avversari”.

In casa democratica, invece? Chi è il favorito per sfidare The Donald?

“È una partita più che mai aperta”.

Biden e Sanders vengono dati per favoriti…

“Sono due figure molto diverse. Biden è l’unico che sta riuscendo a mobilitare la comunità afroamericana, ma è meno trascinatore di Sanders. Sarà una sfida non scontata. E, oltretutto, le modifiche in senso proporzionale delle votazioni alle primarie potrebbero generare scenari quasi inediti e a dir poco sorprendenti…”.

Ad esempio?

“Ad esempio la cosiddetta brokered convention”.

Ovvero?

“Ovvero la situazione per cui nessun singolo candidato riesce a ottenere la maggioranza dei delegati utile a conquistare la nomination del partito per partecipare alle presidenziali”.

E cosa accadrebbe?

“Che nel corso della convention dem, a partire dal secondo scrutinio, ogni delegato è libero di votare chi vuole. E quindi potrebbero presentarsi candidati dell’ultimo minuto in grado di ottenere la nomination a sorpresa. Un’ipotesi che per molti è tutt’altro che improbabile”.

A quel punto chi potrebbe farsi avanti?

“Michael Bloomberg, ad esempio. Ma si fa anche il nome di Hilary Clinton. E addirittura quello di Michelle Obama”.

Spostiamoci in Italia. Come ci vedono dagli Usa?

“Siamo un paese alleato e gli americani provano per noi grande amore. L’Italia per loro è sinonimo di bellezza, piacere, cultura. Ma non si può dire che sul loro scacchiere oggi contiamo come le super-potenze, tipo la Cina. Ci sono però due dossier dove al nostro Paese viene riconosciuto un certo peso”.

Quali sono?

“La battaglia contro Huawei (il colosso cinese in lizza per la realizzazione della rete 5G in Italia, ndr) e quello relativo alla web tax. E poi c’è un altro aspetto che rende particolarmente importante l’Italia agli occhi dell’amministrazione Trump”.

Ossia?

“La presenza in Italia del Vaticano. Trump tiene molto a poter spendere la carta politica dei buoni rapporti con la Chiesa cattolica. Non è un caso che il segretario di Stato Mike Pompeo e il vicepresidente Mike Pence, in visita a Roma, non abbiano mancato di farsi ricevere da Papa Francesco. E si lavora per poter organizzare presto una visita ufficiale anche del presidente, che ha incontrato Bergoglio solo una volta, di sfuggita”.

Come vedi l’attuale situazione politica in Italia?

“C'è molta confusione. Credo che il principale problema politico del nostro Paese, che poi ha riflessi anche in tutti gli altri ambiti, sia l’instabilità. Con i governi che cambiano e le alleanze che mutano ogni due o tre anni non è possibile fare progetti a lunga scadenza. E questo fa sì che i partiti siano in campagna elettorale permanente. Risultato: tutto si ferma, tutto è bloccato. Guardiamo a queste ultime settimane. Le elezioni regionali in Emilia-Romagna hanno praticamente intercettato tutti gli sforzi, le proposte e le attenzioni delle forze politiche. I grandi temi e i grandi problemi, però, restano lì”.

Nel 2015 hai raccontato sul campo gli attentati di Parigi, da Charlie Hebdo al Bataclan, un'esperienza che è diventata anche un libro, “Il buio su Parigi”. Cosa ti ha lasciato?

“È stato un anno choccante sia dal punto vista di personale che professionale. Qualcosa di talmente forte che ancora oggi mantengo legami con le persone che ho conosciuto e intervistato in quei giorni drammatici. La famiglia di Valeria Solesin, un ragazzo, che nel libro chiamo Hugo, colpito da numerosi proiettili durante gli attacchi. Dal punto di vista professionale, vedere da vicino e raccontare quelle tragedie mi ha fatto capire che dovevo cambiare il modo di approcciare il mio lavoro di giornalista”.

In che modo?

“Oggi tendo a non raccontare semplicemente i fatti, ma cerco di approfondire anche il lato umano delle notizie, privilegiando le persone. Solo raccogliendo la voce e le esperienze delle persone è possibile raccontare ciò che accade in maniera davvero esauriente e fedele alla realtà”.

Che differenza c’è tra il giornalismo italiano e quello americano?

“I giornali Usa sono tenuti in grandissima considerazione perché, nonostante siano di parte, ovvero si rivolgono ciascuno a lettori che già la pensano in maniera precisa, riescono a essere veri guardiani del potere, grazie a inchieste e comportamenti inappuntabili. In Italia spesso non avviene, perché c’è molta più commistione tra editoria, politica, finanza, impresa e via dicendo. Questo inevitabilmente inficia il modo di fare giornalismo”.

Quindi basterebbe tornare - o cominciare - a essere veri “cani da guardia”…

“Sì. E pretendere che i politici non si sottraggano alle proprie responsabilità. Un esempio? Negli Usa è inimmaginabile che un leader politico rifiuti di partecipare a un confronto televisivo. In Italia invece avviene spesso, da tutte le parti, e si preferisce veicolare le proprie idee senza contraddittorio, sui social o ai comizi. Lo trovo imbarazzante”.

Che rapporto hai con la Sardegna?

“Ci sono stata solo una volta d’estate, anche perché, quando torno in Italia, do la priorità alla mia famiglia, che ha origini trentine e calabresi. Dunque quelli sono i luoghi dove passo di più il mio tempo libero. Ma dell’Isola ho dei ricordi stupendi. Uno su tutti: il meraviglioso contrasto tra il mare, dolce e azzurro, e l’entroterra, aspro e selvaggio”.

Per finire, domanda secca: chi vincerà le prossime elezioni Usa?

“Difficile dirlo. La differenza la faranno come al solito alcuni Stati clou, la situazione economica e le promesse che Trump in questi anni è riuscito o non è riuscito a mantenere. Sia come sia, una cosa è certa: lo sfidante democratico, chiunque sarà, non potrà essere un 'agnellino', se vuole avere chance. Trump in campagna elettorale è un leone. E per affrontare un leone, ci vuole per forza un altro leone”.
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