Lorenzo Seminatore aveva 14 anni quando, da un momento all'altro, ha cominciato a rifiutare il cibo.

Da quel momento la sua vita, normalissima, è precipitata in un baratro da cui non è stato più possibile risalire. Sei anni dopo, lo scorso 3 febbraio, è morto per anoressia.

A raccontare la sua storia, oggi, sono i genitori. Lorenzo, il più grande dei tre fratelli, era felice: molti amici, la passione per il tennis e il calcio. E la scuola, naturalmente.

A un tratto le insicurezze tipiche dell'adolescenza sono diventate per lui una schiavitù: l'insoddisfazione, la paura di quale piega avrebbe preso la sua vita, l'ansia. E poi la difficoltà a mangiare: "È stato un campanello d'allarme - spiegano i famigliari - Ha cominciato a mangiare sempre meno, a dimagrire. Era evidente che non stesse bene".

Loro hanno fatto il possibile per farlo uscire da quella situazione, rivolgendosi a decine di specialisti.

"Dopo un periodo in un centro della Val D'Aosta, sembrava rinato - raccontano -. Eppure, dopo poche settimane, è ricaduto nel baratro. Una storia che si è ripetuta diverse volte. Negli ospedali si limitano a parcheggiarti in un reparto e a somministrare flebo per integrare il potassio. Poi ti rimandano a casa, sino al prossimo ricovero".

Lorenzo ha fatto del suo meglio per guarire, lavorando su se stesso: ha ottenuto la maturità scientifica, poi si è iscritto all'università. Filosofia prima, Scienze della Comunicazione dopo. È tornato a uscire con gli amici. Ha cercato risposte nella musica, nel rap, aprendo un canale su YouTube.

"Avevamo interpretato quel gesto come un segno di speranza. Pensavamo che dimostrasse la sua voglia di lottare ancora", ricordano i genitori. Un mese dopo è morto: lo ha trovato senza vita, a letto, uno dei suoi fratelli.

I suoi genitori ora raccontano la storia per "scuotere la coscienza delle istituzioni. Ci sono altre famiglie che stanno vivendo il nostro calvario e che si sentono sole in questa battaglia - dicono -. È inaccettabile che in un paese come l'Italia non ci siano strutture pubbliche in grado di accogliere e curare ragazzi come nostro figlio".

"La tragedia di nostro figlio dimostra che di anoressia si può morire - dicono -. Le madri e i padri che stanno passando il nostro calvario lo devono sapere. Bisogna affrontare il fenomeno, a iniziare dal punto di vista legislativo. Le strutture pubbliche non sono abbastanza e non c'è un sistema che sappia dirti a chi rivolgerti. È necessario mettere mano alla normativa, perché c'è un vuoto".

"Le istituzioni devono fare qualcosa - la conclusione -. Pensare a progetti di prevenzione nelle scuole, percorsi di sostegno alle famiglie e investimenti. Non tutti possono permettersi centri privati. Nessuno, in queste situazioni, dev'essere lasciato solo".

(Unioneonline/D)
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