L'ultimo samurai, sul fronte della lotta operaia, ha appeso il caschetto. Senza nulla togliere ai tanti compagni di lotta e di speranza, Antonello Pirotto, anche per le sue grandi doti di comunicatore, talvolta sopra le righe, ha fatto "entrare" più di tutti nell'opinione pubblica (meno, purtroppo, nella classe politico-burocratica) una delle storiche battaglie del Sulcis e della Sardegna: il riavvio dell'Eurallumina.

Sì, sì, proprio lui, il sindacalista-operaio con la barba bianca e il caschetto ammaccato da mille e una protesta più il megafono d'ordinanza, spesso inutile grazie a un tono di voce che ha fatto eco in tanti studi televisivi nazionali, passando per Videolina.

Perché parliamo di Antonello Pirotto nell'ultimo editoriale del 2019? Perché ci piace pensare che l'industria possa avere un futuro nell'anno nuovo e in quelli che verranno dopo. Sì, anche in un Paese come il nostro. Dove molti sono andati al potere anche per aver definito l'ex Ilva di Taranto una scarpa vecchia, da sotterrare con i suoi veleni e i suoi (diecimila) operai. Salvo poi ricredersi quando, una volta al Governo, i nostri eroi hanno capito che giocando a chi la spara più grossa non si va da nessuna parte. Sì, ci piace pensare che in un Paese così l'industria possa avere un futuro.

Stimolando gli imprenditori a investire per abbattere l'inquinamento, ma dando loro la certezza di poter produrre; costringendo le grandi multinazionali a spendere i soldi per le bonifiche; togliendo ogni alibi ai prenditori venuti dal mare (e facendoci restituire i soldi pubblici sperperati) ma anche ai burocrati votati al no d'ufficio.

Ci piace pensare che l'industria possa avere un futuro. Anche in una terra, la Sardegna, dove la bolletta, per le famiglie e per le attività produttive, costa il trenta per cento in più rispetto al resto del Paese. Anche in una terra che ha sprecato la Grande Occasione di riconvertire in chiave turistica l'attività mineraria. Anche in una terra che, nelle aree industriali (sic!), ha affidato al maestrale centinaia di miliardi di lire. Anche in una terra che ha speso più per gli ammortizzatori sociali che per sostenere lo sviluppo. Anche in una terra che si era illusa (giusto ieri) che piantando cardi in ogni terreno incolto la chimica (a Porto Torres) sarebbe diventata verde.

“Un operaio = una famiglia”. Erano in nove, in piazza San Pietro, con le tute verdi, insieme ad Antonello Pirotto, il 10 aprile 2011, a tenere con orgoglio lo striscione con quello slogan efficace. La loro fabbrica, a Portovesme, era ferma dal 12 marzo 2009. La crisi mondiale dell'alluminio aveva costretto 450 operai in cassa integrazione, ma fu anche tutto l'indotto a fermarsi. Benedetto XVI, dal balcone più famoso del mondo, benedisse quella protesta. Erano molti di più, con lo stesso striscione, il 22 settembre 2013, quando Papa Francesco, in via Roma, a Cagliari, abbracciava Pirotto e la sua maglietta verde con su scritto “Un operaio = una famiglia”.

"Il lavoro è dignità", ripeteva Francesco. Tutti avevamo gli occhi lucidi. In via Roma e in tutto il mondo, grazie alla diretta di Videolina, la più seguita nella storia dell'emittenza locale in Italia. "Il lavoro è dignità", ripeteva il pontefice venuto pochi mesi prima "dalla fine del mondo". Piangevano gli operai, piangevamo tutti. Piangeva Pirotto, e piangevano i suoi compagni di lavoro quando, l'8 febbraio 2017, dopo un presidio durissimo sotto il palazzo della Regione, in viale Trento, arrivò il via libera dalla conferenza di servizi (con qualche distinguo) ai progetti della Rusal per la ripresa produttiva: la Sardegna è pronta a riaffacciarsi sul mercato dell'alluminio.

Ma era solo una nuova illusione. Per altre decine e decine di volte Pirotto e i compagni di lotta e di speranza hanno esposto quello striscione (“Un operaio=una famiglia”) sotto l'assessorato all'Ambiente, sollecitando la Giunta regionale ad approvare la delibera che ufficializzasse il sì alla valutazione di impatto ambientale.

"Non molleremo mai", intonavano gli operai dell'Eurallumina, battendo il caschetto sull'asfalto. Quella risposta, quella delibera, sono arrivate il 5 dicembre 2019. Abbracci e gioia davanti a Villa Devoto ma lacrime no, ne erano già state sparse troppe in 3.900 giorni di chiusura della fabbrica. Nell'anno che verrà qualcosa a Portovesme potrebbe (teniamoci stretto il condizionale) iniziare a muoversi. Antonello Pirotto ci sarà sempre, ma più defilato. Il 17 dicembre ha lasciato la Rsu della fabbrica, ricevendo il tributo commosso dei compagni di lotta, di paura e di speranza. Poi ha affidato a WhatsApp un messaggio.

Eccolo: "Ti ringrazio per il sostegno che ci avete sempre dato. La vicinanza del giornale e della tv mi è stata di conforto morale e di aiuto nei momenti più bui. Spero che non tornino più, almeno di questa portata. Altrimenti bisaccia, casco e megafono sono sempre pronti all'ingresso di casa mia".

Sì, ci piace pensare che l'industria (più pulita e più sana, ma produttiva) possa avere un futuro. Lo dobbiamo anche a un sardo come Antonello Pirotto. Buon anno a tutti.

EMANUELE DESSÌ
© Riproduzione riservata