L'agenda detta il ritmo della storia che scorre davanti a noi. Distratti dal quotidiano, dimentichiamo di riannodare tutti questi fili sparsi, vedere la trama, scoprire l'intreccio, fare e disfare l'ordito dell'individuale e il tessuto del collettivo. Il vostro cronista salutando il 2018 aveva cercato di mettersi al telaio e scoprire cosa avrebbe cominciato a lampeggiare subito nel 2019: la Brexit è arrivata al momento decisivo e caotico, la partita del commercio mondiale tra Washington e Pechino è in corso, Kim e Trump si incontreranno per la seconda volta in febbraio, la Casa Bianca vuole lasciare la Siria ma non può farlo senza mettere a rischio i curdi minacciati dalla Turchia, la Cina pompa miliardi di yuan nel sistema per frenare la caduta dell'economia. Tutto scorre e si tiene.

In questo quadro, non c'è nessuno che può dire: non mi riguarda, è lontano. Non è così. Oggi a Cagliari c'è un turno elettorale nazionale suppletivo, bisogna sostituire un seggio alla Camera lasciato vacante dai Cinque Stelle. Anche questo pulviscolare evento ha la sua importanza nella trama della storia, almeno di quella parlamentare: quattro sfidanti, un primo test per il governo, una città governata dalla sinistra, una prova per i pentastellati e un preludio del voto regionale in arrivo a spron battuto per il 24 febbraio.

In questo scenario il governo nazionale si è mosso con una manovra "continuista" nel metodo (più deficit, richiesta di flessibilità a Bruxelles e invocazione dello Stellone per il futuro) ma di rottura nella ripartizione delle risorse.

In sostanza reddito di cittadinanza e Quota 100 sono il tentativo di disegnare un nuovo Welfare. La parola chiave della contemporaneità si chiama "protezione". E la produzione? Silenzio.

Domanda sul taccuino: di cosa ha bisogno la Sardegna? Protezione o produzione? Risposta dal loggione: entrambe! Troppo facile, la realtà non presenta questa possibilità di fare tutto. Ci sono limiti, prima di tutti finanziari. Bisogna scegliere. Lo abbiamo visto con la legge di Bilancio del governo a Roma, c'è il Welfare, ma non c'è lo sviluppo e l'impresa. È una scelta precisa. Dunque bisogna capire che cosa serve alla Sardegna. E i partiti lo devono dichiarare ora, prima del voto. Protezione o produzione? Chi offre entrambi non fa il politico, ma l'illusionista. Il calendario è inesorabile, un dentro/fuori che non lascia scampo. Ecco perché bisogna sempre guardare ai piccoli eventi come "segnali deboli" che raccontano altro, sono il fruscio della conversazione, il rumore di fondo di una storia che poi emergerà - o si inabisserà - con chiarezza più in là nel tempo.

Ieri il Bollettino economico di Bankitalia ha piazzato in questa sequenza di scelte da fare, la colonna sonora di Profondo rosso, con la crescita in rallentamento - il Pil a +0.6 per cento nel 2019 contro la stima di un + 1 per cento del governo - fino a far ipotizzare l'arrivo della recessione. Non siamo di fronte a un'incognita - lo abbiamo già scritto: il fatto esiste ed è in divenire - c'è solo da capire la magnitudo di quel che accadrà, la sua forza. I cicli economici sono un fatto naturale, ciò che è nuovo rispetto al passato non è il ciclo di boom e sboom, ma la lunghezza della caduta e il picco meno forte della ripresa. L'America con una possente azione della Federal Reserve ha cominciato a uscire da subito con Obama dalla palude fino a giungere alle vette di produzione e occupazione di oggi dell'amministrazione Trump, l'Europa ci ha messo molto più tempo e nel caso dell'Italia la recessione è stata lunga, profonda, dolorosa, al punto che siamo gli unici insieme alla Grecia a non aver ancora recuperato i valori di ricchezza pre-crisi.

Sono lezioni dal passato che andrebbero colte. Il Presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha ammesso che c'è stato un eccesso nell'uso dell'austerità. Autocritica giusta, ma tardiva perché proprio quella dottrina, venerata dalle élite come un totem, ha innescato gravi contraccolpi e prodotto lo scenario politico attuale, l'ascesa dei partiti populisti. L'europeismo senza realismo ha finito per alimentare l'euroscetticismo.

Siamo a un nuovo inizio, ma per andare dove? Il dilemma del voto di fine maggio è grande e senza risposte chiare, la battaglia c'è, il territorio è marcato tra Strasburgo (Parlamento) e Bruxelles (Commissione), ma se chiedete per fare cosa, la risposta è solo "vincere", parola che non risolve la curiosità successiva, la più importante: vincere per fare cosa?

Nel film Lawrence d'Arabia c'è una scena epica: le tribù del deserto conquistano brillantemente Damasco, è la vittoria totale. Riuniti nel gran consiglio della città i capi tribù dopo qualche giorno cominciano ad accusarsi per le inefficienze e il malgoverno della città, non funziona nulla. Non potendo giungere a un accordo, le tribù lasciano Damasco e tornano nel deserto. La vittoria non è quella del voto, ma quella del governo. Cari lettori, segnate la domanda da fare al candidato che vi chiederà il voto per le elezioni regionali: protezione o produzione?

Mario Sechi

(Giornalista, direttore di "List)
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