Mentre ieri mattina "sono ripartiti" con entusiasmo "i confronti del Governo con le sigle che rappresentano il tessuto produttivo del nostro Paese" (Giuseppe Conte), l’intervento attesissimo del presidente del Comitato di Esperti in materia Economica e Sociale, Vittorio Colao, invece, nel corso dello svolgimento della seconda giornata del 15 giugno scorso dedicata agli Stati Generali e in particolare alla presentazione del piano elaborato dalla task force fortemente voluta per la ripresa del Paese, come da copione, non ha mancato di suscitare reazioni inevitabilmente contrastanti e variamente critiche.

Dal canto suo, il premier Conte, unico e vero protagonista indiscusso della scena politica di questi e dei prossimi giorni, evidentemente con non troppo entusiasmo, ha voluto definire quello stesso Progetto solamente nei termini di "un’ottima base", descrivendolo, altresì, per il suo essere "un contributo importante ai fini dell’elaborazione del (vero e proprio) piano di governo" che certamente, si legge tra le righe, dovrà essere integrato in senso migliorativo. Circostanza, quest’ultima, che non può che rallegrarci in considerazione della gravissima dimenticanza, da più parti lamentata, che pare aver colpito il Super Manager probabilmente troppo ansioso, si fa per dire, di tornare alle proprie abituali occupazioni e per ciò stesso assai poco attento alle criticità e alle peculiarità della reale situazione economico/sociale italiana (che, a onor del vero, sembra proprio non conoscere), la quale, più che presentarsi nei termini ottimistici di generica omogeneità, si qualifica invece per il suo essere, purtroppo, oltremodo variegata e tutt’altro che di agevole definizione in considerazione del gap a tutt’oggi ancora esistente tra le tre macro-aree del Paese, ossia Nord, Sud e Isole.

Ma se così è, come pare realmente trasparire, quale può essere mai stato il sottile filo conduttore che ha ispirato il corposo staff di esperti nell’elaborazione di un piano tanto banalmente indeterminato e polivalente, non solo sul piano contenutistico ma financo su quello formale, quanto idealmente e pericolosamente orientato alla conservazione e incentivazione dello status quo ante, e quindi alla valorizzazione della comoda Locomotiva nordista a tutto discapito del vagone di coda rappresentato dal Meridione e dalle Isole? A chi giova che il Sud e le Isole (con le distinzioni del caso) continuino a permanere in una condizione di minorità produttiva, aggravata, in taluni casi, da una dislocazione geografica non troppo felice sul piano della crescita e della valorizzazione del territorio? Perché il Piano c.d. Colao, così attento al rispetto del principio di uguaglianza sul piano squisitamente e apparentemente formale, viola così macroscopicamente quello stesso principio di uguaglianza sul piano sostanziale implicante la doverosa considerazione delle diversità e la conseguente predisposizione di meccanismi idonei a trasformare quelle stesse diversità in opportunità di crescita e di sviluppo? Perché si continua ad essere tanto scettici in merito alla circostanza che il Mezzogiorno d’Italia, e con esso le Isole Maggiori, Sardegna e Sicilia, possano costituire una "utilità" risolutiva per l’intero sistema Italia?

Ebbene, al di là degli interrogativi testé formulati, e dei tentativi di risposta che si andranno poi ad elaborare, l’aspetto che maggiormente preoccupa è che, ancora oggi, nonostante il lungo tempo trascorso, ci si debba ritrovare a parlare della tante volte discussa, ed evidentemente mai risolta, "questione meridionale". Al proposito, non possono che riaffacciarsi prepotentemente nella mente le aspre, quanto fin troppo realistiche e tristemente attuali, riflessioni di Gianfranco Fini, all’epoca presidente della Camera, secondo cui non solo esisterebbe un "vero e proprio stallo nella capacità delle Istituzioni di elaborare strategie complessive e nazionali", ma addirittura lo stesso "ritardo di sviluppo del Sud" costituirebbe "uno spreco di potenzialità oramai intollerabile" e, al tempo stesso, "la manifestazione più eloquente di una palese inadeguatezza della politica (nell’) affrontare i problemi del Paese".

Ma se così realisticamente fosse, come davvero parrebbe essere, a quale Santo dovremo votarci? Sembrerebbe non esserci quasi alcuna via d’uscita. Intanto perché, mentre nel Mezzogiorno, Isole comprese, sembra signoreggiare l’esigenza di un governo centrale forte che sia in grado di dirigere e sovvenzionare lo sviluppo, nel Settentrione, invece, il trend è quello inverso tendente alla regionalizzazione e alla "autonomizzazione" gestionale.

Quindi perché il persistente perdurare delle disuguaglianze tra le tre macro aree, alimentate in qualche modo dalla disattenzione della classe politica, non può che riverberarsi negativamente sul futuro dell’intero Paese per la semplice, quanto dirimente circostanza, che lo stesso non solo continuerà inevitabilmente a manifestare un inquietante imbarazzo nell’ambito dei rapporti internazionali per trovarsi in una condizione di evidente minorità, ma continuerà a patire fastidiose inquietudini al suo interno tra le aree maggiormente sviluppate e quelle tristemente disagiate siccome ingenerate, quelle inquietudini, dall’incapacità sistemica di venir fuori da un circolo vizioso e aberrante che continua a concepire il Sud solo in termini di sterile staticità e assistenzialismo. Quindi perché, di conseguenza, e con buona pace di Colao e della sua task force, il Piano elaborato per il rilancio, che tanto era comunque piaciuto al centrodestra, nel suo essere manchevole proprio sul piano delle strategie specifiche di sviluppo per il Sud e per le Isole, e benché si proponga di agevolare il raggiungimento della parità di genere e dell’inclusione nel fermo convincimento che le diseguaglianze economiche, territoriali e generazionali costituiscano esse stesse una scomoda zavorra per il Paese, altro non fa, invece, e in pratica, se non alimentare l’accrescimento di quelle stesse diseguaglianze che tanto vorrebbe contrastare mediante la semplicistica previsione di interventi apparentemente utili nei diversi settori, ma completamente disancorati dalle particolarità territoriali sulle quali sarebbero destinati ad incidere.

Infine, perché ciò che davvero sembra difettare grandemente nel Piano di rilancio, dai più riqualificato come "libro dei sogni", è proprio una necessaria "visione d’insieme nella diversità" la quale, laddove esistente, avrebbe consentito, come di fatto consentirebbe, di ripensare anche in termini di sincero ottimismo ad azioni di riqualificazione del Meridione e delle due grandi Isole valorizzandone la centralità della posizione nel Mediterraneo.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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