Se vuoi conoscere un popolo, allora devi scoprire cosa lo fa ridere e cosa si inventa per far ridere. Questo potrebbe essere lo slogan de La vita è un cetriolo… (Ibis edizioni, 2020, pp. 224), divertente e arguto viaggio alla scoperta dell'umorismo arabo scritto dallo psichiatra Angelo Villa e da Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba all'Università Cattolica di Milano. Un viaggio sorprendente perché ci suggerisce tante vicinanze con una cultura all'apparenza tanto lontana dalla nostra e dimostra come le barzellette e i motti di spirito possano dirci di un popolo più di tanti saggi ponderosi. A confermarcelo è proprio uno degli autori, Paolo Branca: "Le barzellette, al pari dei proverbi, ingiustamente considerati generi 'minori' di espressione, sono il distillato di lunghe esperienze e forniscono dettagli non secondari sulla cultura popolare diffusa e condivisa. Quasi ovunque la semantica dell'eufemismo o delle interdizioni di decenza funziona in forme analoghe: i bisogni fisiologici quando si è bambini, il sesso dalla pubertà in poi, ma anche i più temibili campi della politica e persino della religione da quando si è in grado di 'sfidarli'".

Cosa ci insegna l'umorismo arabo sugli arabi?

"Anzitutto che sono un popolo mediterraneo e condividono molto con gli abitanti delle sue coste, anche settentrionali, come del resto rivelano gli alfabeti di ciascuno, composti dagli stessi suoni e nello stesso ordine: il latino con a, b, c, d... il greco con alfa, beta, gamma, delta... l’ebraico con alef, bet, ghimel, dalet e l’arabo con alif, ba, jim, dal… Inoltre questi popoli condividono la stessa indole. Un nordico o un giapponese che visitassero il Cairo, Napoli e il sud della Spagna o della Grecia troverebbero affinità molto più marcate tra questi luoghi che, per esempio, fra Milano e Londra per non dire fra Roma ed Helsinki. E i simili si ha occasione di punzecchiarli con più efficacia. Ho assistito di persona a questa scenetta: due immigrati arabi si trovano a camminare dietro a una vecchietta curva che tornava dal mercato lenta e affaticata dal peso delle borse. 'Chissà come mai l'Angelo della morte non se l'è ancora portata via' dice in arabo uno all'altro. La donna, italiana vissuta a lungo in Egitto, si volta di scatto e nella loro lingua esclama: 'Perché era troppo occupato a cercar voi due!' facendoli fuggire terrorizzati".

In cosa il loro umorismo è affine al nostro?

"Per temi e persino espressioni volgari ci sono talvolta perfetti parallelismi: parlar male degli antenati ('li mortacci') di qualcuno, insinuare sulla onorabilità di madri e sorelle, dire 'figlio di un cane o di sessanta cani' è grave insulto. Ma generalmente son cose che si evitano di fronte ad estranei, se son presenti signore o bambini ed espresse nel dialetto locale. Usare la lingua del Corano per scherzare, oltre che poco efficace, sarebbe irriguardoso".

Guardando al loro modo di fare umorismo, in che modo gli arabi guardano agli occidentali?

"Sono frequenti storielle in cui soprattutto politici occidentali, nonostante il loro potere e la loro fama, fanno magre figure, come accade da noi quando iniziano con: ‘Ci sono un tedesco, un francese e un italiano…’, dove è ovviamente l’ultimo a mostrarsi più scaltro. Ma non mancano forme di autoironia come nel descrivere diversi tipi di uomini: l’americano che ha una moglie e un’amante, ma ama di più l’amante, l’europeo che ha una moglie e un’amante, ma ama di più la moglie e l’arabo che ha più mogli, un’amante, ma ama di più... la mamma! Naturalmente anche pregiudizi e stereotipi ricorrono: materialisti, libertini e soprattutto razzisti".

Ci fa un esempio?

"Eccolo: un marocchino immigrato in Francia viene interrogato a scuola dalla maestra che gli chiede come si chiama. Risponde fiero: ‘Ahmed ben Nour!’ Ma l’insegnante ribatte che non è possibile avere un nome simile, concludendo: ‘D’ora in poi sarai Michel Benoist!’ Tornato a casa non risponde alla mamma che lo chiama per dichiarare infine: ‘Non mi chiamo più Ahmed, ma Michel!’ La madre lo rimprovera aspramente e il padre addirittura lo picchia. Tornato a scuola malconcio, si sente chiedere dalla maestra cosa gli sia successo e risponde: ‘Ero francese solo da un paio d’ore e due arabi mi hanno aggredito!’".

Esistono esempi di umorismo sugli italiani diffusi nel mondo arabo

"L'Italia è vista in genere con simpatia. Non ha troppi trascorsi coloniali e la gioventù conosce cantanti e attori italiani, ma soprattutto tifa per le nostre squadre di calcio. La finale del Campionato del mondo del 2006 in cui abbiamo affrontato la Francia ha visto la stragrande maggioranza degli arabi augurarsi la nostra vittoria. La memoria delle Repubbliche marinare e dei loro commerci risuonano in barzellette su astuti mercanti e per definire chi ‘fa finta di non capire’, non si dice solo ‘fare l’indiano’ ma anche ‘fare l’italiano’".
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