In 220 milioni di anni hanno continuato a muoversi lente ma caparbie, resistendo al massacro (leggi alla voce estinzione) avvenuto 65 milioni di anni fa quando, alla fine del Mesozoico, ben altre specie presenti allora nel pianeta - e tra questi mastodontici dinosauri - smisero di esistere. Loro no. Le tartarughe sono uscite indenni, da quella catastrofe biologica, tenendo anche saldamente stretti i loro caratteri anatomici, pur con le necessarie modifiche.

Non erano certo gli esseri viventi più forti. Tanto meno i più dotati di acume. E dando ragione alle teorie del padre dell'evoluzione, Charles Darwin ("Non è la specie più forte a sopravvivere e nemmeno la più intelligente. Sopravvive la specie più predisposta al cambiamento") hanno continuato a muoversi, con la loro apparente indolenza, fino ai giorni nostri.

In origine fu l'Odontochelys semitestacea. Fu la scoperta di reperti ossei avvenuta nel 2008 a Guangling, nella Cina sud-occidentale, a costringere gli studiosi a riscrivere la storia evolutiva di questi rettili. Odontochelys aveva la bocca armata di denti, presenti sia nella mascella che sulla mandibola. Non possedeva un carapace corneo ma solo il piastrone a ripararle il ventre. Era, in ultima analisi, il nonno di tutte le tartarughe. In mare ci andava, più che altro nei bassi fondi e negli estuari dei fiumi, anche se le sue zampe non erano ancora diventate pinne ma anzi possedevano unghie e dita distinte.

Fino ad allora, fino al 2008 per intenderci, il suo posto nella base della piramide evolutiva di questi rettili e nelle ipotesi dei ricercatori, l'aveva conservato Proganochelys quenstedti, vissuta circa 210 milioni di anni fa. Piastrone e carapace erano formati, ben distinti. I denti li aveva "persi per strada", scapole e ossa del bacino erano incassate dentro la gabbia toracica: caratteristica ancora presente nelle attuali tartarughe marine. Per loro, comunque, il mare era lontano e sotto i loro piedi c'era solo terra.

Di quel rettile gli scienziati hanno rintracciato lo scheletro. Ritrovamenti importanti fatti in Germania. Quell'essere sfiorava il metro di lunghezza e nel suo guscio aveva circa sessanta piastre cornee che davano robustezza al possente carapace. Piastre che si trovavano anche nella bocca, mentre nel palato era presente una fila di denti affilati.

Non avevano dimestichezza con l'acqua salata ma confidenza con l'acqua dolce dei fiumi e dei laghi, dove trovavano cibo in abbondanza.

Il grande balzo, tuffo negli abissi per non tornare mai più sulla terraferma e separarsi definitivamente dalle cugine terrestri e acquatiche (intese come abitanti delle acque dolci) avvenne molto più tardi. E quel tuffo non si è mai concluso. È li, in mare, che hanno dovuto cambiare anche la loro alimentazione, abbandonando la dieta principalmente vegetariana per sostituirla con pesci, crostacei, meduse ma anche alghe e piante acquatiche.

Una cosa è certa. I loro 200 milioni e passa milioni di anni, le specie oggi presenti nei nostri mari (e naturalmente anche le terresti e le acquatiche) se li portano davvero bene.

Oggi di tartarughe marine ne esistono sette specie. Soltanto tre nuotano e frequentano assiduamente il Mediterraneo. In tanto la Caretta caretta, la più comune. Poi la rara Dermochelys coriacea, chiamata tartaruga liuto per la caratteristica forma del carapace sprovvisto di placche cornee. La ancor più rara Chelonia mydas, la tartaruga verde, solo occasionalmente avvistata lungo le coste del bacino.

Sono animali solitari che non amano la compagnia ma si cercano eccome, ritrovandosi in gran numero, durante la stagione riproduttiva. SI maschi aspettano le femmine davanti alle spiagge dove, dopo l'accoppiamento e la fecondazione, saranno deposte le uova. Il congiungimento sessuale dura diverse ore, e avviene in acque poco profonde.

I maschi salgono sopra le femmine e si aggrappano saldamente con le pinne armate di possenti unghie che rendono la presa ancora più efficace. Esistono prove documentate che questi rettili sono poliandriche: ogni femmina, cioè, si accoppia con diversi maschi che competono tra loro per riuscire a conquistarle. Davanti alla costa si consuma la grande, violenta lotta per la riproduzione. E qualche maschio ne esce piuttosto ammaccato, ferito dai morsi di un rivale.

Poi, per le femmine, sarà fatica. Emergono dall'acqua e si spingono sulla spiaggia per scavare, a colpi di pinne, il loro nido profondo diversi centimetri E qui che saranno deposte dalle 40 alle 200 uova, sferiche e dal guscio morbido, simili alle palline da ping pong.

Marine, dunque, ma con un legame stretto con la terraferma, per ricordare le loro origini, la lunga storia della loro evoluzione. Almeno per la deposizione delle uova, che avviene durante la notte, tornano all'origine, ripercorrendo, a ritroso, il lungo cammino filogenetico.

Le pinne natatorie posteriori cominciano spostano la sabbia, scavano. E solo quando il nido è pronto, comincia la deposizione. La femmina non si accontenta di ricoprire il buco.

Sarà la temperatura a determinare il sesso dei nascituri delle piccole tartarughe che quaranta, sessanta giorni più tardi usciranno dalle uova. Solitamente saranno femmine i piccoli rettili che spuntano fuori dalle uova incubate a temperature maggiori. Maschi gli altri. Minuscoli esseri di 4 centimetri per un peso di circa 30 grammi, del tutto simili alle madri.

Le spiagge meridionali della a Sardegna, in questi anni, sono state, al pari di quelle della Sicilia e della Puglia, riprese in considerazione dalla Carette carette. Geremeas, Villasimius, Costa Rei, Capo Malfatano sul versante sud-occidentale, anche l'affollatissimo Poetto hanno ospitato i nidi trasformandosi nelle nursery dei piccoli tartarughini. E sarà così, probabilmente, anche quest'anno.
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