Icagliaritani l'hanno sempre vissuto come il "quartiere del potere": tutti i dominatori che si sono succeduti in città hanno sempre deciso di sistemarsi in Castello. Fu fondato e fortificato dai Pisani che trasferirono proprio nella parte alta della città i palazzi del potere civile, militare e religioso. E i successi dominatori li imitarono: fu la "casa" degli aragonesi e degli spagnoli e anche quella dei piemontesi Savoia. Ovvio che i popolani non abbiano mai amato quella parte della città nella quale erano, se non banditi, certo mal sopportati. Nacque, per esempio, durante la dominazione aragonese un modo di dire tipicamente "casteddaio": "bogau a son'e corru" ("cacciato via al suono del corno"). "Hai visto?, a Olsen l'albitro l'ha bogato a son'e corru" (gli errori sono voluti e sono tipici della parlata cagliaritani).

Ebbene, quel modo di dire ha una genesi tutt'altro che romantica: i cagliaritani erano ammessi in Castello soltanto nelle ore diurne per fare lavori di fatica. Poi, all'imbrunire dovevano tornare nelle loro case. Giusto per essere sicuri che nessuno restasse, veniva suonato un corno che, appunto, invitava i popolani a lasciare il quartiere. "A son'e corru", appunto. E quelli che, una ragione o per l'altra, si racconta (in realtà, non esiste alcun documento che testimoni una simile crudeltà), restavano, venivano rimandati verso le loro case attraverso una strada molto più breve: venivano gettati dal bastione di Santa Croce, accompagnati dall'augurio "sta in pace" ("riposa in pace"). Proprio da questa espressione, sostiene qualcuno, deriverebbe anche il nome del quartiere sottostante, Stampace, appunto. In realtà, l'origine di questo toponimo sembra risalire a un periodo precedente. Non soltanto: non si può neanche essere sicuri del fatto che quel nome sia legato alla città. Potrebbe essere arrivato da uno dei tanti dominatori: a Pisa, la repubblica marinara che ha regnato su Cagliari nel tredicesimo e quattordicesimo secolo, esiste il bastione Stampace, fortificazione delle mura nella zona di Porta a Mare (in ogni caso, l'appuntamento con Stampace e con "is cuccurus cottus" è rimandato ai prossimi racconti).

Ovvio, dunque, che i popolani non abbiano mai amato gli abitanti di Castello. E hanno atteso secoli per potersi vendicare. Quando i Savoia decisero di spostare gli uffici nella parte bassa della città, nella zona del porto, cominciò la lenta decadenza di Castello. E, soprattutto, dei suoi abitanti che si ritrovarono impoveriti di colpo. Erano diventati, giusto per citare ricordi cinematografici, come i nobili decaduti raccontati superbamente da Totò. Certo, erano ancora quelli più acculturati, quelli che sapevano leggere e scrivere. Ma serviva a poco. Se non a inventarsi qualche nuovo modo per tirare fuori il denaro necessario per vivere: con l'intera popolazione analfabeta, serviva qualcuno che sapesse leggere e scrivere. E venivano pagati, appunto, per svolgere quel lavoro.

Solo che, stando alla feroce ironia dei popolani cagliaritani, non avevano soldi. E allora cominciò a circolare la voce secondo la quale "allungassero" l'inchiostro con la loro urina. Nacque, così, il soprannome che si è tramandato nei secoli, "pisciatinteri" (letteralmente, "colui che urina nel calamaio").

Ma la vendetta non poteva fermarsi qui: agli abitanti di Castello fu affibbiato anche un altro soprannome, anche questo legato all'improvviso impoverimento provocato dal fatto che il potere non venisse più esercitato nella parte alta della città. L'altro "allumingiu"? "Pisciarrenconis". Chi conosce un po' la lingua spagnola non ha particolari difficoltà a intuire il significato. Rincon, in castigliano, significa angolo. Cioè, gli abitanti di Castello sono "coloro che urinano negli angoli". La ragione? In quegli anni (si parla, per intendersi, della fine dell'Ottocento), avere un bagno in casa era un lusso. Una di quelle cose che, sino a qualche decennio prima, gli abitanti di Castello potevano permettersi senza problemi. Ma, diventati poveri di colpo, furono costretti a tagliare il superfluo. I bagni per esempio. E dove espletare i propri bisogni fisiologici? In strada, naturalmente. Magari, nascosti dietro qualche angolo per non farsi sorprendere da qualche passante.

Se non altro, gli abitanti di Castello possono consolarsi con il fatto che il toponimo di quel quartiere parla di Cagliari. La città, come ormai grazie alle vicende sportive della squadra di Maran sanno anche nella Penisola, si chiama, in sardo, Casteddu (Castello, appunto). E il rione più alto della città è "Castedd'e susu" (Castello di sopra).
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