P lacidamente convinti che l'italiano fosse una lingua romanza, cioè che deriva dal latino, abbiamo bruscamente appreso da Di Maio che invece è americanza. Cioè discendendo da Cicerone rimbalza su Happy Days e finisce a braccetto col “Uottsamèrica, America me senti” di Moriconi Nando.

Quel vezzo di pronunciare “vairus” la parola virus, che il titolare della Pharnesina trova così esotica da scandirla all'inglese, denota un atteggiamento che si chiama esterofilia: per il vocabolario Treccani (Three Dogs) consiste nella “esagerata simpatia per le idee, i costumi, i prodotti, i vocaboli stranieri”.

La faccenda può suonare come la quintessenza del provincialismo, però è coerente con l'idea rivoluzionaria di sostituire i vecchi marpioni della casta con persone competenti per definizione. Agli Esteri chi ci mettiamo? Ma Gigiàino: è esterofilo! D'altronde alla Giustizia c'è un giustizialista, e ha preparato una riformina della prescrizione che c'è da leccarsi le manette, ora che ha concluso l'aiter.

In attesa che agli Interni Lamorgese lasci il passo a un internista e che per la Sanità si scovi un sanitario, candido e igienizzato, Franceschini si iscriva in palestra e ci dia dentro, se non vuol finire rimpastato: sono tempi gravi e seri, per la Cultura urge un culturista.

CELESTINO TABASSO
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