B eato il popolo che non ha bisogno di eroi, diceva Brecht. L'Italia oggi sicuramente non cerca un eroe, ma personaggi che siano esempio e punto di riferimento per un Paese fortemente disorientato forse sì. Uomini e donne al di sopra delle parti, che sappiano parlare a tutti e che tutti possano a loro guardare con fiducia e rispetto.

Ed ecco che a conclusione di un anno tormentato per la politica e l'economia, con una catena di emergenze in corso e un 2020 già ricco di incognite, emergono due figure istituzionali che incarnano questo bisogno collettivo. Il presidente Sergio Mattarella e la senatrice a vita Liliana Segre, simboli positivi di un'Italia che ancora crede nei suoi valori culturali, morali e sociali. Non è un caso che nelle ultime apparizioni pubbliche il capo dello Stato sia stato salutato dalla gente con il calore di una pop star, cinque minuti di applausi alla prima della Scala di Milano, e una analoga accoglienza all'evento nella Basilica di Assisi dove ha ricevuto il premio per la pace dalle mani del custode del Sacro Convento padre Mauro Gambetti.

«Noi cerchiamo uomini umili e saggi per governare, che non amino il protagonismo dei narcisisti, non facciano continuamente propaganda» gli ha detto il sacerdote. Che nel suo intervento ha richiamato poi la figura di Liliana Segre. E qui il nome della senatrice è stato accolto dall'applauso di tutta la Basilica.

Non si può certo definire Mattarella un eroe, nel senso pieno del significato.

N emmeno in un Paese dove eroi si considerano i calciatori che segnano all'ultimo minuto, i vigili del fuoco che salvano un gattino, il migrante che restituisce il portafoglio ritrovato. Non che gli eroi ci manchino, lo testimoniano le tante medaglie al valore nelle guerre, i partigiani nella Resistenza, i civili che a rischio della vita nascosero gli ebrei ai nazifascisti, i militari impegnati nelle missioni di pace o chiamati ad aiutare le popolazioni colpite da calamità naturali. Ma spesso nei giornali si abbonda attribuendo la patente di eroe con generosità, forse perché è una parola di sole quattro lettere e sta comodamente nei titoloni.

Il fratello minore di Mattarella, Piersanti, sicuramente un eroe lo è stato, come molti servitori dello Stato uccisi dalla mafia. Nel 1980, all'epoca presidente della Regione Sicilia, fu crivellato di colpi nella sua auto e il primo a cercare di soccorrerlo fu proprio il futuro capo dello Stato. Lui, Sergio, con i capelli bianchi, il sorriso dolce, una postura di spalle alla Andreotti, già nell'aspetto è l'antitesi iconografica del personaggio eroico. Eppure ha trovato in questi ultimi tempi di politica urlata, divisiva, becera, i toni pacati e concilianti che lo hanno portato ad un consenso generalizzato.

A memoria dobbiamo andare a Pertini per ritrovare un presidente così popolare. Non lo fu Cossiga, amato da noi sardi anche per questioni di origine, ma troppo personaggio, i cui tanti pregi venivano velati dall'uomo narcisista e dal politico “picconatore”, depositario di segreti e di misteri della Prima repubblica democristiana. Come non lo furono per differenti motivi il grigio magistrato Scalfaro, il banchiere galantuomo Ciampi, e meno che mai Napolitano criticato da molti per il peccato originale (nel 1956 plaudì all'invasione sovietica di Budapest).

Mattarella si è fatto garante di una politica schizofrenica dove si mischiano i colori dei partiti e oggi si dice il contrario di ieri, dove sovranismo e populismo sono diventate le parole magiche del successo della nuova destra, dove la sinistra non fa più cose da sinistra e il movimento delle sardine cresce sull'onda della contestazione non del governo, ma del maggior leader dell'opposizione. Sinora Mattarella ha esercitato in pieno il suo ruolo di garante della Costituzione e ha usato tutte le prerogative della più alta carica per evitare derive antidemocratiche e crisi al buio che portassero il Paese nel baratro. Non dunque un eroe, ma a lui si pensa come a un padre responsabile o un anziano saggio.

Ebbene, Mattarella in tutti i suoi discorsi (e immaginiamo nel prossimo di fine anno) ripete come un mantra quattro parole salvifiche: inclusione, condivisione, coesione e no ai facili revisionismi. Tutto ciò - aggiunge - contrastando i fascismi insorgenti e una rilettura della storia che stravolga e neghi la verità dei fatti, come per esempio la Shoah.

Tema, quest'ultimo, caro a Liliana Segre che nel suo braccio ha tatuato il numero dell'infamia dei lager nazisti. Seicento sindaci sono scesi in piazza per lei, molte città la vogliono cittadina onoraria, ovunque è accolta con entusiasmo e l'affetto che merita. C'è chi vorrebbe candidarla al Nobel per la pace, ma la prima a chiamarsi fuori è proprio la stessa senatrice dicendo «bisogna dare i premi Nobel a chi li merita veramente, non a una cittadina molto più semplice come sono io. Lasciamo i Nobel ai Nobel». Di questi tempi teniamoci stretti i nostri due ottuagenari.

CARLO FIGARI
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