S altata la festa per l'America's cup, bruciati i programmi e gli investimenti, l'attesa vetrina si è infranta con la sassata del Covid-19. Il sogno di vedere Cagliari al centro dell'attenzione mondiale per le regate della più prestigiosa manifestazione velica è sfumato con tutto ciò che ruota attorno a questo evento: una promozione di immagine incalcolabile, l'arrivo di migliaia di turisti, un ritorno economico con benefici non solo per la città, ma per l'intera isola. La pandemia ha cancellato tutto, non consola che anche Portsmouth abbia condiviso la medesima sorte.

L 'intera stagione è stata compromessa, compresi i classici appuntamenti della Costa Smeralda e le regate nazionali in calendario a Cagliari e in altre località sarde. Con la lenta riapertura di ogni attività, il turismo è ripartito con grande difficoltà anche per quella piccola ma interessante fetta che rappresenta il diporto. Il turismo nautico a vela e a motore che proprio la Coppa America e le regate nazionali avrebbero dovuto pubblicizzare e implementare.

La Sardegna con i suoi 19 mila posti barca è la seconda regione italiana per disponibilità nei marina sparsi lungo i suoi 1849 km di costa. Dietro la Liguria e davanti a concorrenti quali Toscana, Lazio, Sicilia e Campania. Nessuna di queste regioni, che pure vantano grandi tradizioni marinare e cantieristiche, possiedono una tale ricettività portuale, ma neppure una costa straordinaria per la varietà e la bellezza dei suoi litorali che consentono una navigazione lungo un mare stupendo, nello stesso tempo con parametri di sicurezza ineguagliabili. I porti sono vicini, con distanze medie di 20/30 miglia, per poter pianificare una crociera tranquilla e nei quali ripararsi in caso di cattivo tempo. Le tante cale permettono di sostare alla fonda con qualsiasi vento e di trovare un ridosso nell'emergenza. A vela, come a motore. La Sardegna per il diporto è davvero il paradiso nel Mediterraneo, senza temere confronti con la Spagna, la Grecia, la Croazia e la Tunisia.

Il problema oggi è pubblicizzare e promuovere questa enorme potenzialità, non solo con occasioni straordinarie come la Coppa America. Le bellezze sono un dono della natura, non abbiamo pagato niente. A noi sardi spetta di meritarcelo e di fare il resto. Dobbiamo domandarci se siamo competitivi con i prezzi e i servizi rispetto agli altri porti e non cullarci sul fatto che abbiamo il mare più bello.

L'accoglienza a terra è curata? I bagni puliti? Il personale cortese, magari che sappia un po' di inglese? I costi sono accettabili per non dire concorrenziali? Funzionano navette e trasporti per i paesi vicini? Basterebbe un rapido sondaggio tra gli skipper per avere risposte concrete da girare ai direttori dei marina e ai politici che si lamentano per la crisi. C'è da chiedersi perché, anche in piena stagione, si vedano ampi spazi liberi in banchina e si contino alla fonda davanti al porto quaranta, cinquanta imbarcazioni. Tutti amanti del dondolìo notturno in rada, oppure perché dissuasi da prezzi troppo alti che non invitano a sbarcare?

Per restare ai charter della vela, un settore cresciuto nell'ultimo decennio, si contano 30 società, 300 imbarcazioni, 2500 posti letto, 125 dipendenti. A giugno hanno registrato il crollo delle prenotazioni sul 50 per cento, sperano di cominciare a lavorare a metà luglio. Ma la stagione nel complesso è compromessa, considerando che il 90 per cento dei clienti è straniero e quindi non potrà arrivare. Offrono un servizio turistico di nicchia, ma fondamentale se la Sardegna vuole competere con gli altri Paesi del Mediterraneo che proprio sul diporto puntano per diversificare i loro richiami. Eppure questi operatori non hanno alcuna voce e peso politico, dimenticati dalle agevolazioni per il Covid-19 e dagli aiuti regionali. Come sempre capita agli uomini di mare, devono arrangiarsi da soli per superare la bufera.

CARLO FIGARI
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