“E’ l’inizio di una nuova era”. Con queste parole Luigi Di Maio, ex capo politico, ha salutato la prima reale metamorfosi del Movimento 5 Stelle la quale, tutto sommato, sembra essersi definitivamente realizzata quasi per caso come evoluzione naturale di un percorso ad ostacoli a correnti per certi versi parallele, e per altri versi discutibilmente alternate, ma comunque costantemente destinate a sfociare e confluire in un unico progetto comune di auto-conservazione celebrativa.

L’80% degli iscritti votanti sulla enigmatica piattaforma Rousseau, infatti, sembrerebbe aver prestato il proprio consenso alla modifica del limite dei due mandati, ed il 60% dei medesimi iscritti parrebbe altresì aver espresso il proprio voto favorevole anche in merito alla possibilità di stringere alleanze, a livello locale, con altri partiti.

L’utilizzo del condizionale è d’obbligo per quanto mi riguarda considerato l’imponderabile meccanismo telematico di estrinsecazione della volontà popolare che, a ben considerare, tutto sembra “garantire” fuorchè la concreta declinazione della tanto decantata forma di governo di “democrazia diretta”, intesa quale forza del Popolo, unico depositario della Sovranità e destinato per ciò stesso a contrastare in prima linea il “decadimento oligarchico” dei partiti tradizionalmente intesi.

Fin qui “nulla quaestio”: “vox populi, vox dei”, se “vox populi” davvero fu. Ma non posso fare a meno di domandarmi quale futuro possa mai prospettarsi per un Movimento che in forza di una pretesa legittimazione popolare notoriamente anti-sistema ed anti-casta si sia trasformato in ciò che ha sempre dichiarato di voler combattere proprio in considerazione delle ragioni ideologiche poste a fondamento del limite del doppio mandato le quali, non più tardi del 10 marzo 2017, avevano indotto lo stesso ideatore del Movimento a ri-affermare l’inderogabilità assoluta proprio della regola di ispirazione giacobina del limite dei due mandati elettivi a qualunque livello.

E’ allora possibile che proprio gli iscritti, con il loro voto, abbiano potuto dare impulso al probabile procedimento di “estinzione” dei Pentastellati divenuti vittime più o meno consapevoli dei loro stessi rigidi proclami?

Quale ragione di stringente impellenza può aver mai determinato il superamento, sia pure soltanto a livello locale per il momento, di quei dogmi programmatici che avevano consentito di inquadrare il Movimento, nel bene e nel male, nei termini esclusivi di un “unicum” sperimentale irripetibile nella storia parlamentare italiana?

Si giungerà al prossimo superamento di quelle regole anche a livello nazionale?

E se così realmente sarà, è astrattamente concepibile una futura scissione del Movimento siccome inevitabilmente destinato a confluire nel Partito Democratico avendo perso ogni connotazione caratteristica iniziale e, pertanto, le motivazioni della sua stessa significanza sul palcoscenico della vita politica del Paese?

Quale sarà il futuro politico dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte progressivamente affermatosi, a dispetto di tutti, per essersi rivelato vero e proprio Statista di pregio?

Continuerà ad “esistere” a prescindere dalle sorti del Movimento 5 Stelle, oppure è destinato gioco forza a restarne inesorabilmente travolto?

Ebbene, anche a voler prescindere dalle potenziali soluzioni prospettabili a definizione dei quesiti proposti, sembra oramai certo che il tentativo dei Pentastellati di materializzare una nuova dimensione democratica attraverso un processo di rafforzamento dei meccanismi di partecipazione popolare sia caduto definitivamente nel dimenticatoio.

Ed ancora a voler prescindere dalle medesime potenziali soluzioni, che in realtà sono diretta conseguenza dei rilievi offerti, non sarà forse superfluo osservare come al processo di generale “stabilizzazione istituzionale” del Movimento attualmente al comando del Paese, sia corrisposto, per converso, un contestuale processo inverso di “frantumazione” del dogma del limite dei mandati elettivi siccome finalizzato, quel processo di “frantumazione”, a cristallizzare in senso unicamente rafforzativo il conseguente processo di acquisizione del potere nella totale noncuranza delle ispirazioni originarie ma in perfetta armonia con il nuovo status di Casta del Movimento medesimo che pretende di sferzare l’ultimo colpo mortale alla democrazia rappresentativa in occasione dell’imminente Referendum Costituzionale inerente il taglio del numero dei Parlamentari.

Ma “il dado” non è ancora “tratto” e chi conosce bene la politica sa perfettamente che non esistono certezze. Intanto, perché i recentissimi esiti delle votazioni tenutesi sulla piattaforma Rousseau, sono solo l’ultimo tassello del grande mosaico effigiante il lento ma insistente declino del Movimento, la cui “deformazione” non è certamente determinata da singoli accadimenti fattuali ma da ben più preoccupanti inceppamenti sistematici determinati dall’utilizzo persistente di una inflessibile dialettica di contrapposizione tra categorie concettuali inverse che hanno determinato, negli anni, ma soprattutto già all’indomani del fatidico 4 marzo 2018, la graduale ed irrecuperabile caduta dei consensi.

Quindi, perché quel fatidico abbraccio tra i nuovi “alleati” (PD-5Stelle entrambi ancora alla ricerca della propria identità perduta, quindi in qualche modo affini) all’indomani della resa agostana dell’allora capitano verde, sebbene costituzionalmente legittimo, è inevitabilmente destinato a rivelarsi “mortale” per i Pentastellati quanto lo fu quel Mojito al Papeete per Matteo Salvini, giacchè i primi, per poter sopravvivere al fallimento di quella originaria alleanza giallo-verde, dovettero sconfessare fin da allora i propri principi fondanti accettando il rischio, più che concreto, di rimanere così travolti nel vortice delle dinamiche, per così dire impropriamente “associative” (nel senso che nessuno governa da solo), dominanti il Parlamento quale luogo deputato ad esprimere le maggioranze non espresse dalle urne.

Inoltre, perché, tutto sommato, considerate le affinità ideologiche tra i due partiti di maggioranza in discorso, laddove dovesse configurarsi una auspicabile compenetrazione decisiva e definitiva tra i medesimi azionisti di maggioranza del Governo giallo-rosso, che finirebbe per salvare gli uni e gli altri avendo oramai perso il M5S le proprie connotazioni anti-casta, ed avendo parimenti perso il Partito Democratico la propria dinamicità interna, si creerebbe automaticamente, come altre volte ho avuto modo di sostenere, una alternativa credibile alla destra sovranista (il centro è scomparso da tempo) che seppure in apparente vantaggio virtuale in termini di consenso, appare tuttavia incapace, a cagione delle camuffate ma esistenti lacerazioni interne alla coalizione, di soddisfare le aspettative del proprio elettorato. Infine, perché il vero anello di congiunzione di questo processo di trasformazione e contestuale fusione tra due espressioni della medesima ala sinistrorsa, sebbene momentaneamente sbiadita, è solo il Professor Giuseppe Conte, oramai politicamente significativo a prescindere da ogni legame col Movimento, moderato temporeggiatore, paziente e temperante statista costruttore di “ponti” e non di “muri”, che, considerate le sue qualità professionali, si propone quale unico e valido candidato idoneo a guidare una rinnovata e competitiva coalizione di centro-sinistra. Una terza via al momento non sembra esistere ed è necessario cogliere l’attimo giacché le urne dei prossimi mesi potrebbero rivelare scenari sorprendenti per tutti i competitor in corsa.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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