Frequenta le Medie quando raggiunge i genitori in Italia, a Novellara, un piccolo centro della provincia di Reggio Emilia con tredicimila abitanti, duemila dei quali indiani, cinesi e pakistani. Saman Abbas è una ragazza sveglia e volenterosa: impara subito la lingua e studia. Vorrebbe continuare ma, finita la scuola dell’obbligo non frequenta più, in paese la vedono poco o nulla. Non esce quasi mai, e quando lo fa è sempre accompagnata da un familiare. Non ha un telefonino personale ma due profili social: in uno si chiama italiangirl, nell’altro alonegirl. Conosce un suo connazionale della sua età che vive in un’altra regione italiana e si fidanza. Nell’estate 2020 scappa e si rifugia da alcuni parenti in Belgio, il padre ne denuncia la scomparsa. Rintracciata, la ragazza torna a casa.

Resiste poco: il 27 ottobre Saman chiede aiuto ai Servizi sociali che la ospitano in una comunità protetta. Quando vanno a prenderla a casa la madre dice: “E’ un disonore per tutti noi, come lo spiegheremo in Pakistan”? La giovane parla con i carabinieri e riferisce  di un matrimonio combinato dai genitori in Pakistan con un suo cugino molto più grande, la data è già fissata: 22 dicembre 2020.

Ma Saman, che il 18 dicembre compirà 18 anni,  dice no.

Il padre scrive sul profilo Instagram del fidanzato intimandogli di lasciare stare la figlia. Poi insulti e minacce.  

Quattro mesi dopo, nel febbraio di quest’anno, la famiglia del fidanzato di Saman in Pakistan si ritrova cinque macchine sotto casa, scendono alcune persone e intimano: “Dite a quel ragazzo di non vedere più Saman”.

L ‘11 aprile Saman torna a casa: vuole la sua carta d’identità, custodita dai genitori.

Non si sa come viva in quei giorni Saman, però il maresciallo dei carabinieri che l’ha seguita dopo la fuga il 20 aprile viene a sapere che è tornata a casa e decide di andare a trovarla. E’ il 22 aprile: nel cortile davanti alla cascina dove abitano gli Abbas incontra i genitori e la ragazza. Il padre dice che Saman non vuole parlare coi carabinieri, in famiglia sono tutti contenti che sia tornata, il matrimonio combinato è una storia finita. Il maresciallo intuisce che qualcosa non va e la porta in caserma con un pretesto. E lì, sola, senza gli occhi del padre addosso, la ragazza conferma di voler stare a casa e di voler recuperare il documento d’identità che secondo il padre è andato perduto. Il maresciallo si fa promettere che se scoprisse che il documento è stato nascosto dai genitori rientrerà nel centro protetto.

Ma il maresciallo non si fida, il padre della ragazza non gli piace e il giorno dopo chiede al pm un decreto di perquisizione della casa degli Abbas. Quindi  chiama i Servizi sociali affinché  trovino per Saman un posto in una struttura protetta. Ma ci vuole tempo.

Intanto, il 26 aprile lo zio Danish compra due biglietti aerei per il Pakistan a nome dei genitori di Saman.

Il 28 aprile la Procura firma il decreto il decreto e il 29 i Servizi sociali comunicano al carabiniere di aver trovato un posto, ma dal 3 maggio. Quel giorno gli assistenti sarebbero andati a prendere la ragazza e i carabinieri avrebbero fatto la perquisizione.

Non immaginano che cosa stia succedendo: lo zio e due cugini di Saman, armati di pale e buste di plastica, proprio il  29 aprile  vengono ripresi dalle telecamere installate  contro i ladri dal proprietario del casolare dove vivono gli Abbas. I tre si dirigono verso la casa della ragazza e tornano indietro due ore e mezza dopo.

In quelle stesse ore Saman usa il telefono della madre per parlare col fidanzato. Gli dice : “Ho sentito che dicono «uccidiamola» o una cosa del genere. Mia madre mi ha detto «Non parliamo di te ma di una ragazza che è scappata in Pakistan». Non so cosa succederà, se sono chiacchiere o possono arrivare a fare questo gesto. Non so cosa succederà, lasciamo fare al destino”. Sembra rassegnata invece subito dopo si raccomanda: “Se tra uno o due giorni non ti chiamo vai subito dai carabinieri".

Poco dopo Saman viene ripresa dalle telecamere mentre cammina insieme al fratello, senza velo, i capelli raccolti, una gonna lunga colorata, scarpe bianche da ginnastica e una blusa che sembra lasciarle una spalla scoperta. Ha il cellulare in mano e lo guarda. Forse stanno andando verso il casolare dello zio e dei cugini.

Il 3 maggio i Servizi sociali vanno a prendere la ragazza ma a casa ci sono solo lo zio e il fratello: dicono che Saman è rientrata in Pakistan. I carabinieri temono un sequestro e avviano le ricerche. Intanto il fidanzato, che non ha più notizie di Saman, va in caserma. E’ il 4 maggio.  Il giorno successivo, 5 maggio, i militari perquisiscono la casa dove la giovane vive. Nessuna traccia. Di nessuno. Non c’è il padre, non c’è la madre, non c’è il fratello. Non ci sono neanche lo zio e i cugini. I genitori sono in Pakistan dal primo maggio e il padre continua a scrivere sui social. Il fidanzato viene messo sotto protezione: riceve ancora minacce dal padre di Saman.

Il 9 maggio il fratello sedicenne viene fermato con lo zio dalla Polizia di Ventimiglia durante un normale controllo. Sono senza documenti, vengono portati in Questura a Imperia. Lo zio viene fotosegnalato e deferito all’autorità giudiziaria: la polizia lo invita a ripresentarsi per regolarizzare la sua posizione. Ancora non c’è il sospetto che Saman sia vittima di omicidio quindi non ci sono segnalazioni. Lo zio sparisce nel nulla. Il fratello viene invece affidato a una comunità protetta e dopo qualche giorno racconta tutto: in sostanza, la sorella è stata uccisa dallo zio Danish e poi fatta sparire. E’ stato zitto perché lo zio lo ha minacciato di morte. Tutto è accaduto nella serra dove lavorano il padre, lo zio e due cugini. Lo zio è stato attento perché sapeva che c’erano le telecamere, quindi è arrivato da dietro passando fra le serre. Il ragazzo ha sentito che diceva ai suoi genitori «ora andate in casa, ci penso io». Padre e madre sono tornati a casa. Dopo lo zio Danish ha dato al padre lo zaino di Saman suggerendogli di nasconderlo senza senza farsi vedere alle telecamere. Secondo il fratello, Saman è stata strangolata perché lo zio quando è andato a casa loro non aveva nulla in mano.

Il fratello voleva abbracciare Saman per l’ultima volta così ha chiesto allo zio dove avesse nascosto il corpo ma non glielo ha detto. Anche il padre è stato zitto, per paura. Piangeva.

Il fratello di Saman chiude così: “Nella nostra cultura quando una ragazza smette di essere musulmana viene uccisa. Lei era musulmana ma non si comportava come tale. Nel Corano c’è scritto che se una smette di essere musulmana deve essere sepolta viva con la testa fuori dalla terra e poi uccisa col lancio di sassi in testa”.

Intanto una donna viene intercettata mentre al fratello di Saman che vuol sapere cosa deve dire se qualcuno gli chiede della sorella risponde: “Mamma stava male e il papà l’ha portata in Pakistan, ok? Non devi dire nient’altro”.

Il padre di Saman, contattato via chat da un giornalista  assicura che tornerà in Italia il 10 giugno  per spiegare tutto, la figlia è in Belgio. Inutile dire che non è tornato. La rogatoria in Pakistan per farlo rientrare potrebbe richiedere parecchi mesi.

Il 21 maggio il cugino di Saman, Ikram Ijaz, viene fermato a Nimes su un autobus per Barcellona, estradato e consegnato alle autorità italiane. Sotto interrogatorio dice di non sapere nulla.

E di Saman non c’’è traccia.

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