Il giorno seguente il primo appuntamento col pubblico ministero di Milano in carcere a Massama, Oristano, dove è detenuto dal giorno del suo arrivo in Italia dopo l’estradizione dalla Bolivia nel 2019, l’ex terrorista rosso Cesare Battisti riceve la seconda visita ufficiale di inquirenti e investigatori per riprendere il filo delle dichiarazioni sul suo passato criminale. L’ergastolano - quattro omicidi commessi alla fine degli anni ‘70 - parte da lontano, da quando era ragazzino, e davanti ai suoi avvocati Gianfranco Sollai e Steccanella ricorda di aver «frequentato le scuole sino ai primi mesi della terza liceo classico del Manzoni a Latina» per poi cominciare «a delinquere con furti e rapine». La nuova carriera non gli aveva consentito di «proseguire gli studi». Si era sposato «per la prima volta in Francia e ho avuto due figlie. La prima è nata in Messico, dove mi ero rifugiato negli anni Ottanta, la seconda a Parigi, avuta con la stessa donna francese. Ho divorziato a fine anni Novanta inizio 2000 ed ero ancora latitante in Francia. Poi in Brasile mi sono risposato e ho nuovamente divorziato. Infine ho convissuto con una donna brasiliana con cui ho avuto un figlio. Mantengo rapporti con tutto l’ambito famigliare».

Un fermo immagine tratto da un video della Polizia mostra l'ex terrorista Cesare Battisti prima dell'arresto in Bolivia
Un fermo immagine tratto da un video della Polizia mostra l'ex terrorista Cesare Battisti prima dell'arresto in Bolivia
Un fermo immagine tratto da un video della Polizia mostra l'ex terrorista Cesare Battisti prima dell'arresto in Bolivia

La sopravvivenza oltralpe gli era stata garantita dalla «solidarietà di alcune formazioni come la Liga Rivolutionaire. Non ho commesso reati né in quel periodo né nelle fasi successive della mia latitanza. Nel 1982 sono andato in Messico perché in Francia non c’era ancora la dottrina Mitterand, in Francia c’erano troppi rivoluzionari politici e ci consigliarono di andare in alcuni Paesi del sud America e in Madagascar. Sono andato in Messico grazie a una colletta tra compagni. Sono stato accolto dal sindacato Situam, sono stato lì otto anni. Nei primi tempi mi sono mantenuto grazie alla solidarietà dei compagni, poi mi sono spostato dalla capitale e sono andato a San Miguel da Allende, dove con alcuni compagni ho aperto un ristorante: il Corto Maltese. Producevamo anche pasta che vendevamo ai vari esercizi. Con alcuni compagni ho fondato la rivista Via Libre. Sono rientrato in Francia nel 1990 perché mia moglie voleva tornare a casa e nel frattempo era stata varata la dottrina Mitterrand che, come noto, garantiva il non espatrio in Italia dei rifugiati politici perché ovviamente non commettessero reati. Sono rimasto lì sino al 2004. Mi sono mantenuto scrivendo libri e scrivendo per alcune riviste, tra cui Acqua, Playboy e altre. Mi firmavo con pseudonimi. Mi mantenevo con traduzioni, diritti di autore, avevo contatti con grandi case editrici francesi e guadagnavo abbastanza per mantenere la mia famiglia e comprare casa nella regione di Parigi dove ancora oggi abitano le mie due figlie. Avevo venduti i diritti per adattare a film il mio libro “Ultimo sparo”, facevo sceneggiature per mini serie televisive. Lavoravo anche per F3 e Antenne 2. Nel febbraio 2004 sono stato arrestato per l’estradizione, dopo 19 giorni sono stato scarcerato col divieto di allontanarmi da Parigi. Avendo compreso che la procedura di estradizione si sarebbe conclusa a mio sfavore, decisi di scappare in Brasile da solo, ero già separato. Dal 2004 al 2007 ho vissuto in semi clandestinità, mantenuto grazie al sostegno del Sindagato universitario Sintuso, ideologicamente schierato a sinistra ma senza connotazioni di violenza. Mi sostenne come rifugiato politico. Nel 2007 sono stato arrestato con la richiesta di estradizione verso la Francia dopo la richiesta internazionale avanzata dal presidente Sarcozy per dare seguito alla richiesta già accolta di estradizione italiana. Sono stato scarcerato nel 2011 e ho svolto vari lavori come custode di abitazioni e nell’editoria. Ho pubblicato quattro libri, ho fatto traduzioni tecniche di articoli del sindacato. Avevo documenti regolari perché il presidente Lula mi aveva concesso la residenza permanente sul territorio, quindi non ero rifugiato. Ero considerato un immigrante. Lula non accolse la richiesta di estradizione. Sono rimasto in Brasile sino al 2018 quando il nuovo presidente Bolsonaro aveva garantito alle autorità italiane la mia estradizione, quello che lui definiva un regalo all’Italia. Fu così che decisi di scappare in Bolivia dove peraltro avevo contatti con lo storico Choquehanqua, col quale avevo già contatti per la scrittura di Chilometro zero che però probabilmente verrà intitolato Verso il sole morente: un romanzo storico sulla conquista portoghese del Brasile. Il resto è storia recente».

Il carcere di Massama a Oristano
Il carcere di Massama a Oristano
Il carcere di Massama a Oristano

Contatti con la malavita organizzata

Il pm a quel punto gli chiede di eventuali contatti con la malavita organizzata italiana o straniera, che però Battisti nega: «Mai avuto a che fare il alcun modo con esponenti» di quel mondo, «avrei compromesso in modo irreparabile la mia immagine di rifugiato politico ed era contrario a qualsiasi mia concezione. Non posso escludere che fra tante frequentazioni avute in 37 anni di latitanza possa essermi imbattuto in persone appartenenti al mondo del crimine comune, ma se questo fosse accaduto sicuramente lo è stato a mia insaputa. Mi viene in mente che quando fui espulso dalla Bolivia e stavo giungendo in aereo in Italia, un funzionario di Polizia mi riferì che avevo frequentato un individuo, di cui non ricordo il nome, che conoscevo come presidente della gioventù di Evo Morales (Mas), che a dire del funzionario sarebbe stato legato ad ambienti della criminalità comune. Si tratta della persona che dalla frontiera tra Brasile e Bolivia, ovvero da San Matias, mi ha accompagnato sino a Santa Cruz della Sierra. Si è trattato di una condotta di solidarietà nei miei confronti tra il Movimiento sen terra e il Sintusp, che hanno perso contatti con il governo boliviano. Ho avuto a che fare con questa persona solo in questa occasione e in un paio di altre durante le quali mi ha accompagnato a comprare alcune cose in centro città».

Pierluigi Torregiani, il gioielliere ucciso nel '79 dai Pac (Proletari armati per il comunismo)
Pierluigi Torregiani, il gioielliere ucciso nel '79 dai Pac (Proletari armati per il comunismo)
Pierluigi Torregiani, il gioielliere ucciso nel '79 dai Pac (Proletari armati per il comunismo)

Le scuse ai familiari delle vittime

Il colloquio è finito, l’ex terrorista ha sviscerato oltre 40 anni di latitanza. Poi però rilascia dichiarazioni spontanee: «Non posso che chiedere scusa ai famigliari delle persone che ho ucciso e alle quali ho fatto del male perché penso che la lotta armata sia stata un movimento disastroso che ha stroncato una rivoluzione culturale e sociale che aveva preso avvio nel 1968 con prospettive sicuramente positive per il Paese ma che proprio la lotta armata contribuì a stroncare. Chiedo scusa pur non potendo rinnegare che in quell’epoca per me e per tutti gli altri che aderirono alla lotta armata si trattava di una guerra giusta. Oggi non posso che confermare quel disagio di cui ho parlato nel ricostruire il mio passato e rivivere momenti che non possono che suscitare una mia revisione di un passato che all’epoca ritenni giusto. Parlare oggi di lotta armata per me è qualcosa privo di senso».

A Cosenza, poi a Ferrara

Battisti dopo la permanenza a Massama è stato trasferito nel carcere di Rossano a Cosenza nel settembre 2020, da dove è stato spostato poche settimane fa per via delle sue proteste (e di uno sciopero della fame cominciato il 2 giugno 2021) legato alla sua collocazione nella sezione del carcere calabrese destinata ai terroristi islamici. Ora si trova a Ferrara. Qui continuerà a scontare gli ergastoli dopo una vita passata a delinquere e a negare di averlo fatto, per poi ammettere le sue responsabilità solo dopo essere finito nelle mani degli inquirenti italiani. Quando ormai la leggenda sulla presunta persecuzione politica era crollata.

4 - fine

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