L’instaurarsi di una nuova convivenza non fa cessare in automatico il diritto all’assegno di divorzio, come accade invece nel caso di un nuovo matrimonio. Ma il principio non vale per sempre: ci può essere una liquidazione una tantum, o un accordo per un tempo limitato, e con quantificazione in base alla durata delle nozze, al contributo dato alla formazione del patrimonio della famiglia e alla perdita di chance lavorative.

Sono le decisioni della Corte di Cassazione in attesa di un intervento di legge in materia di ricadute patrimoniali nei casi di crisi di coppia

A Sezioni Unite i giudici si sono pronunciati in favore di chi aveva scelto la famiglia, sacrificando le occasioni professionali. Nella sentenza, redatta dal giudice relatore Lina Rubino e firmata dal primo presidente Pietro Curzio, si parla di "un piccolo capitale di ripartenza, in unica soluzione o distribuito su un numero limitato di anni".

Il caso riguardava due ex coniugi di Venezia, rimasti sposati per nove anni e genitori di due figli. 

Lui proprietario e amministratore di un'azienda produttrice di scarpe, lei mamma a tempo pieno, che dopo la rottura aveva stretto una nuova unione con un operaio con il quale aveva avuto anche un'altra figlia.

La donna aveva dichiarato di aver rinunciato a un'attività professionale per dedicarsi alla famiglia, e il tribunale le aveva riconosciuto un assegno di divorzio di 850 euro, escluso poi però dalla Corte d'Appello, che si è uniformata ai precedenti della stessa Cassazione in base ai quali se l'ex coniuge costruisce una nuova famiglia, anche se "di fatto", viene meno ogni presupposto per l'assegno divorzile.

I legali della signora avevano fatto ricorso per avanzare il dubbio sulla legittimità di un automatismo di questo tipo, e la Prima sezione civile, cui era stata affidata la causa, si è rimessa alle valutazioni delle Sezioni Unite.

Secondo la procura generale della Cassazione, la perdita "automatica e necessitata" dell'assegno si giustifica in base alla "progressiva laicizzazione della società" e del venire meno della precedente avversione verso la convivenza 'more uxorio' che fa in modo che la convivenza, se accertata come stabile, sia paragonabile a un nuovo matrimonio. Ma non è di questo avviso la Corte. Nella sentenza, viene sottolineato che a 50 anni dalla prima e contrastata introduzione della disciplina dello scioglimento del matrimonio, visto che la società è cambiata profondamente, che nel corso degli anni "sono progressivamente aumentati i numeri di separazioni e divorzi" e che "si registra una contrazione della durata delle unioni matrimoniali", sarebbe "auspicabile", un intervento del legislatore sulle "ricadute patrimoniali della crisi coniugale". Oggi quindi ai giudici “è lasciato il difficile compito dell'interpretazione della normativa esistente”.

Per la Corte, per l'accertamento del diritto all'assegno: si dovrà provare la mancanza di mezzi adeguati e che l'eventuale disparità della situazione economica tra i due ex coniugi "dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise" durante il matrimonio. Inoltre, il giudice "dovrà tenere conto della durata del rapporto matrimoniale" e "delle effettive potenzialità professionali e reddituali" alla luce dell'età del coniuge.

(Unioneonline/s.s.)

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