È una colpa, per le vittime sotto le macerie del crollo, non aver abbandonato le case dopo due scosse di terremoto molto forti che seguivano uno sciame sismico che durava da mesi: è un passaggio della sentenza in sede civile del Tribunale dell'Aquila riferita al crollo di uno stabile nel centro del capoluogo abruzzese nel sisma del 6 aprile 2009 in cui morirono 24 persone sulle 309 complessive.

“È fondata l'eccezione di concorso di colpa delle vittime - si legge a pagina 16 della sentenza firmata dal giudice Monica Croci del Tribunale civile dell'Aquila in composizione monocratica, e come riporta oggi il Messaggero -, costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile. Concorso che può stimarsi nel 30 per cento” ovvero la misura di cui verrà decurtato il risarcimento danni stabilito.

Una “lettura” che va dunque a scontrarsi con lo “state tranquilli, lo sciame sta liberando energia” che arrivò invece dagli organi dello Stato nei giorni a ridosso della grande scossa, pari 6.3 della scala Richter.

Il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del sisma, si era riunita all'Aquila la Commissione Grandi Rischi per fare il punto sullo sciame in atto almeno da novembre. E il tono rassicurante del verbale di quella riunione venne accolto come una promessa che nulla di grave sarebbe accaduto. La sentenza di primo grado del Processo alla Grandi Rischi condannò a sei anni i sette componenti di quella Commissione, appunto “per aver rassicurato”. Poi, in Appello, quel giudizio è stato del tutto ribaltato: assolti i membri della Commissione perché il fatto non sussiste.

La sentenza del Tribunale civile oggi riguarda solo alcune delle 24 vittime, cui è stata riconosciuta una corresponsabilità pari al 30% perché ritenuti imprudenti a non uscire dopo la seconda scossa, avvenuta all’una di notte e prima di quella tragica delle 3.32.

(Unioneonline/v.l.)

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