L’ultimo intervento di restauro a Pompei è targato Sardegna. A portare in alto il nome dell’Isola i fratelli Massimiliano e Marcello Desogus che - insieme alla loro squadra di architetti, storici dell’arte, muratori, pianellisti e manovali - hanno riportato alla luce gli affreschi delle terme femminili nella meravigliosa città romana riaffiorata dopo secoli dalle ceneri del Vesuvio. «Vedere quei colori di duemila anni fa riprendere vita sotto i nostri occhi è stata un’emozione enorme, un momento magico», raccontano quasi commossi. Cagliaritani doc, titolari di una delle aziende di restauro più importanti dell’Isola, hanno lavorato sui dipinti pompeiani per otto lunghi mesi, utilizzando tecniche e attrezzature all’avanguardia. E superando anche la difficoltà che incontra qualunque impresa sarda che lavora oltre Tirreno: costi maggiori e lontananza da casa.

Come tutto ebbe inizio - Un incarico prestigioso, coronamento di un percorso professionale di assoluta eccellenza partito nella Cagliari in rovina del dopoguerra. «Mio padre Vittorio – racconta Massimiliano –, ha iniziato nella ditta “Spano fu Giovanni” specializzata nella lavorazione della pietra a cui fu affidata la ricostruzione della basilica di Bonaria e della chiesa di Sant’Anna danneggiate dai bombardamenti. Poi nel 1969 fondò una ditta individuale e si mise in proprio». Primo lavoro nella chiesa di Santa Rosalia di Cagliari. «La nuova mensa dei quattro angeli l’ha creata lui». Massimiliano e Marcello sono bambini all’epoca. «Ricordo quando stava restaurando l’altare di San Francesco Saverio nella chiesa dei Gesuiti di San Michele – racconta Massimiliano -, osservavo maneggiare con cura quei marmi e rimanevo incantato, era il mio parco giochi, sono cresciuto respirando la passione per l’arte del restauro».

La scalata - Nel 1989 Massimiliano entra in società col padre. L’anno dopo c’è anche Marcello. Nasce la “fratelli Desogus restauri”, che poi dioventerà srl. L’azienda cresce e si specializza nei recuperi murari e degli altari marmorei: interviene nelle chiese più belle della Sardegna, da Sant’Elulalia alla Cattedrale a Cagliari, dalla cappella del cimitero di Bonaria, sempre nel capoluogo, alla chiesa di San Nicola a Ottana. Nel curriculum anche il restauro d’urgenza delle torri di Palazzo Bacaredda, sede del Comune di Cagliari, e la prima commessa oltre Tirreno: il recupero della facciata di Santa Maria Novella a Firenze. Lo scorso anno il colpo grosso: l’appalto per le terme di Pompei, portato a termine lo scorso 8 marzo. «Un lavoro impegnativo: dall’800 le terme femminili erano adibite a deposito. Abbiamo dovuto spostare 200 anfore, centinaia di reperti e tantissime ossa, per tre mesi abbiamo fatto solo quello». Poi il recupero vero e proprio: «Per pulire gli affreschi dalla patina che li ricopriva abbiamo usato le micro frese, l’ultimo spessore è stato invece eliminato con il laser».

Il gap insularità - Partecipare alla gara è stata però una scelta rischiosa. «Le imprese sarde purtroppo pagano il gap dell’insularità – spiegano -. Una ditta romana prende un Intercity e in un’ora arriva a Napoli. Noi ci siamo dovuti trasferire lì per mesi e diventa difficile applicare la stessa percentuale di ribasso. La Regione non ci aiuta, non esiste una continuità territoriale per le aziende. Perché l’abbiamo fatto? Per dimostrare, per primi a noi stessi, che un’impresa sarda può competere ed eccellere ai massimi livelli. Siamo orgogliosi di esserci riusciti. E credo che da lassù lo sia anche nostro padre Vittorio, che se n’è andato 8 anni fa e sino all’ultimo giorno era in cantiere con noi».

Massimo Ledda

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