Papa Francesco lascia un'eredità teologica: ha ridato centralità alla coscienza
L'intervento di Valeria Aresti, avvocato rotale al Tribunale Apostolico della Sacra RotaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Con la morte di Papa Francesco se ne va un uomo che ha saputo parlare al mondo con il linguaggio semplice del Vangelo e con la forza disarmante della prossimità. Non ha cercato di imporre verità dall’alto, ma di camminare accanto alle coscienze, restituendo al papato il tono mite e profondo di chi serve, non di chi comanda.
Ha riorganizzato la Curia con la "Praedicate Evangelium", privilegiando l'evangelizzazione. Ha incentivato la sinodalità come modello di governo, consolidando la collaborazione tra pastori e fedeli.
Ha aggiornato il diritto penale canonico, introducendo misure più incisive contro gli abusi e garantendo priorità alle vittime. Ha snellito le procedure matrimoniali, non per comprometterne la verità, bensì per meglio servirla.
Ha valorizzato il ruolo delle donne nella vita della Chiesa, assegnando loro incarichi di responsabilità fino ad allora prerogativa maschile. Ha promosso severi criteri per la gestione delle risorse economiche, credendo che la trasparenza sia una forma di giustizia.
In un scenario internazionale segnato da guerre, crisi migratorie, polarizzazioni ideologiche, Papa Francesco ha optato per una strada diversa: non l'alleanza con il potere, bensì la vicinanza ai più fragili. La sua Chiesa è stata portavoce dei poveri, rifugio dei sofferenti, luogo di dialogo con le fedi, le culture, le periferie del mondo.
Ha lasciato una Chiesa meno potente, nel senso più evangelico del termine. Meno legata ai privilegi, più consapevole delle proprie fragilità. Una Chiesa che non difende la propria influenza, ma sceglie la compagnia dell'uomo. Che si fa compagna, non dominatrice.
La sua eredità è anche teologica: ha ridato centralità alla coscienza, valore al discernimento, dignità al dubbio. Ha aperto la prospettiva di una Chiesa che non teme la complessità, ma la accoglie. Una Chiesa che non si arrocca nella dottrina, ma si lascia interpellare dalla realtà.
Il percorso ora si interrompe. Ma l'orientamento rimane. Il futuro del magistero si definirà nella fedeltà a questo impulso: non a un concetto, ma a un Vangelo che, ancora una volta, è stato posto al centro.
Valeria Aresti, Avvocato rotale presso il Tribunale Apostolico della Rota Romana (Sacra Rota)